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Il dossier nordcoreano condiziona le policy di Trump sulla Cina

Nonostante “quando andai in visita a Pechino il presidente Xi Jinping trattò me meglio di chiunque altro nella storia della Cina”, ha detto il presidente americano Donald Trump durante un’intervista al New York Times (probabilmente riferendosi all’inusuale cena di stato alla Città Proibita), Pechino “deve fare molto di più per aiutarci”.

Trump parla della posizione dei cinesi nei confronti della crisi nordcoreana come elemento centrale che potrebbe influenzare le policy americane verso la Cina, evidenzia la Reuters — ci sono in effetti da tempo diverse interpretazioni che descrivono l’interesse della Casa Bianca nei confronti di Pyongyang come uno stress test sul futuro dei rapporti Usa/Cina. Trump vuole capire se Pechino può essere un partner affidabile, partendo da un dossier operativo come l’atomica di Kim Jong-un, per passare ad altri tavoli fino ad arrivare a quello della concorrenza economica e allo sbilancio commerciale.

Ma “il petrolio sta entrando in Corea del Nord. Non era il mio accordo. Se loro ci aiutano bene, altrimenti dovrò fare quello che ho promesso di fare”, ossia inasprire la guerra economica/commerciale, dice il presidente. Trump fa riferimento alla notizia apparsa sul sito del sudcoreano Chosun Ilbo secondo cui nuove immagini satellitari dimostrerebbero che la Cina sta mantenendo aperto il traffico di petrolio verso il Nord. Le vendite, che Washington vorrebbe bloccate, sono una linea di sopravvivenza per il regime, che ormai è quasi completamente isolato a causa delle sanzioni imposte dalle Naioni Unite a seguito delle evoluzioni del programma nucleare militare.

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Secondo l’inchiesta giornalistica — comprovata ufficialmente da Trump, e dunque potrebbe esserci stata una validazione delle informazioni da parte dell”intelligence americana (sebbene il presidente si muova a volte per istinto) — questi passaggi di petrolio clandestino sono avvenuti per almeno 30 volte da ottobre. Tecnica nota: trasbordo in mare aperto (nel Mar Giallo) da una petroliera cinese a un’altra del Nord. Questi smerci sarebbero una specie di fuori busta che Pechino sta dando a Pyongyang per mantenerlo in vita (energetica): le sanzioni Onu hanno imposto al Nord 500 mila barili come tetto per le importazioni, ma questi scarichi di sottobanco vengono tenuti fuori dal conteggio ufficiale. I cinesi — contrariamente alla linea americana ed occidentale in genere — ritengono che stringere troppo la corda attorno al regime sia controproducente, sia in termini umanitari, sia perché Kim potrebbe reagire in modo incontrollabile. Tuttavia, Pechino ha negato ogni accusa sui traffici illeciti.

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Sui giornali è uscita anche un’altra notizia che non sarà piaciuta a Trump: Pyongyang, secondo le informazioni ottenute dal Washington Post da fonti dell’intelligence americana, ha sviluppato un missile balistico in grado di essere lanciato dai sottomarini. Si tratta dell’Hawasong-10, un vettore che sarebbe basato sull’aggiornamento del R-27 costruito dalla russa Makeyev. E così, mentre la diplomazia del Cremlino propone Mosca come fulcro negoziale col Nord e critica le linee troppo aspre calcate dagli americani (allineandosi ai cinesi), si scoprirebbe un altro link tra le tecnologie militari nordcoreane e quelle russe; giri clandestini di tecnici e know how da Mosca a Pyongyang sono anche questi noti da tempo.

Il nuovo passaggio di Trump sulla questione nordcoreana arriva in contemporanea a queste notizie, a quelle altrettanto discusse dell’imminente messa in orbita di un paio di satelliti da parte del Nord — lanci con cui vengono anche camuffati test su componenti missilistiche —, e a pochi giorni dall’annuncio della nuova strategia per  la sicurezza nazionale in cui la Cina viene inquadrata come un avversario. Per il momento Trump sottolinea al NYTimes che la linea con Pechino sarà ancora “soft“, ma la Casa Bianca è sempre più impaziente mentre cerca collaborazione dai cinesi.

 

 

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