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Il teatro come strumento di emancipazione sociale

Di Paola Severini Melograni
sanremo

Il teatro può diventare uno strumento di emancipazione sociale, e questo i grandi autori lo sapevano già, a partire dagli antichi fino a Bertoldt Brecht, ma è dagli anni ’60, in Brasile stavolta, che Augusto Boal lavora sul teatro sociale grazie al Teatro dell’Oppresso, un nome che è già programma e che utilizza attori non professionisti partendo dall’assunto che tutti, e in particolar modo, i reietti, possono e debbono recitare.

L’esperienza del movimento brasiliano arriva nel ’68 in Italia, dove si sviluppa mettendo in scena il disagio e gli stessi  emarginati come erano  i disabili che diventano attori. Finalmente, grazie a Basaglia e alla sua “liberazione dei matti” si esprime in forma di manifestazioni pubbliche, uscendo dallo spazio ristretto del palcoscenico e coinvolgendo la popolazione di Trieste nel 1972 e nel’73, prima recitando la loro stessa esistenza e poi con una gigantesca parata cittadina che mette in scena il teatro della vita (chi scrive era lì e non potrà mai dimenticarlo).

Sempre in quegli anni  il teatro d’avanguardia come il Living Theatre di Beck e Malina, considera il sociale come il tema più importante: viene contestata ogni forma di autoritarismo e il corpo, i corpi, pure quelli sgraziati, sgradevoli, malati, prendono il sopravvento sulla scena. Nasce poi il Teatro in carcere, soprattutto in Italia, che prosegue fino ad oggi con le esperienze di moltissimi istituti di pena e viene “travasato” dai Taviani anche nel cinema con lo splendido “Cesare deve morire”.

Negli Stati Uniti c’è il Cafè La MaMa, di Ellen Stewart, dove troverà ospitalità il nostro eroe, Dario d’Ambrosi. Ma prima di raccontare di Dario e della sua avventura professionale e umana, non si può non ricordare il meraviglioso impegno di Piero Gabrielli (curiosamente anche lui proveniente dal mondo dello sport, Gabrielli rugbista, D’Ambrosi calciatore) insieme con Peppino de Filippo e Luigi Squarzina, che al Teatro Argentina di Roma, alla fine degli anni ’70,con l’appoggio dell’allora Capo dello Stato Sandro Pertini, misero in scena “Gli Uccelli di Aristofane”, cominciando un percorso di teatro-terapia con ragazzi handicappati psichici, percorso che è proseguito fino a pochi anni fa. Indimenticabile poi la compagnia teatrale di Pippo Delbono e il suo ultimo “Vangelo”. E siamo arrivati alla rivoluzione del Teatro patologico, che nasce dalla storia personale di Dario, ragazzo difficile, a causa di  un infanzia dolorosa, poi giovane malavitoso, poi calciatore, e infine, dopo essere stato “adottato” da Ellen Stewart, grande attore (caratterista nei film di Mel Gibson e nelle serie italiane più popolari come “Romanzo Criminale”).

D’Ambrosi riesce, dedicandosi completamente al suo visionario progetto di emancipazione, a portare ragazzi autistici e con gravi handicap mentali sui palcoscenici di tutto il mondo, dall’Europa al Giappone, nei teatri più prestigiosi, facendoli recitare, allo stesso livello, insieme con grandi attori professionisti come Sebastiano Somma. Nel contempo il Teatro patologico diventa il primo corso universitario del “Teatro integrato dell’emozione”, all’Università di Tor Vergata a Roma, per dimostrare che si tratta di un percorso importante, serio, che permette a chi non comunica di riuscire a comunicare. D’Ambrosi è arrivato a elaborare un progetto di ricerca scientifico e per questo ha voluto come partner l’università. Dichiara il nostro incredibile personaggio: “Sono certo che l’istituzione di un’Università di teatro integrato può cambiare volto al teatro italiano ed europeo e andare in soccorso di migliaia di famiglie coinvolte con la disabilità: il disabile cessa di essere un individuo da aiutare e diventa un professionista che diffonde un’idea, e contribuisce al cambiamento di luoghi umani dove finora ha solo rivestito il ruolo di estraneo”.

I 70 ragazzi affetti da disabilità mentali e psicomotorie, partecipanti al primo e secondo anno di corso, hanno registrato miglioramenti nell’autonomia della vita sociale, delle capacità psicomotorie, della riabilitazione del movimento e dello spettro cognitivo che vanno dal 61 al 77%. Numeri fantastici che corrispondono a grandi rivoluzioni  interiori e che consentono una vita migliore a loro e alle loro famiglie ferite. Durante la giornata mondiale dell’handicap, il 4 dicembre, il Teatro patologico con la sua messa in scena di “Medea” ha rappresentato l’Italia sul palcoscenico più prestigioso che si possa immaginare: al Palazzo di vetro dell’Onu, dove prima di loro si è esibita solo l’orchestra della Scala di Milano. E ha parlato al mondo. Speriamo che anche la Rai, qui a Roma, riesca a sentire la loro voce.

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