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Perché la politica è diventata (anche) una questione di marketing

Di Alberto Di Majo

Pubblichiamo le conclusioni del libro dal titolo “LovePolitik. Quando la politica diventa marketing” scritto dal giornalista del Tempo Alberto Di Majo ed edito da Castelvecchi

Negli ultimi venticinque anni in Italia c’è stata una rivoluzione silenziosa che si è conclusa con il passaggio dalla SpotPolitik alla LovePolitik. Gli imperativi dettati dalla tv sono stati sostituiti progressivamente da quelli imposti dal marketing di ultima generazione. È stata la fine di un lungo percorso. Del resto la necessità di conquistare il
consenso degli elettori è un’esigenza naturale. Già nella Grecia del V secolo a.C. dominava la retorica. Poi le campagne elettorali sono diventate permanenti e le tecniche si sono affinate. Nel ventesimo secolo la televisione ha modificato lo spazio politico. Nel nostro Paese è stato Silvio Berlusconi a imprimere la svolta, a interpretare in modo quasi impeccabile un universo senza più ideologie e con appartenenze deboli. È riuscito a farlo perché la società civile era berlusconizzata ancor prima della sua discesa in campo. La SpotPolitik ha dominato la scena, poi il web ha conquistato terreno, consentendo ai cittadini di avere rapporti diretti con aziende e organizzazioni.

Un’altra svolta. La politica, al pari del mercato, è diventata una conversazione. L’approccio dirigista, l’idea che il partito sappia cosa si deve fare e costruisce un programma e una classe dirigente che possa attuarlo, è sepolto negli
archivi storici di un Paese che, peraltro, non ha mai avuto buona memoria. Quel mondo non esiste più, i politici tradizionali dovrebbero farsene una ragione. È cambiato lo scenario, sono cambiati gli strumenti a disposizione dei cittadini, le possibilità di interagire con i candidati e gli eletti, le aspettative, i compiti di chi governa e di chi è governato.

Lo stesso verbo governare non suona più come un tempo. Il MoVimento 5 Stelle, fondato da un esperto di strategie di Rete, Gianroberto Casaleggio, e da un comico impegnato in molte battaglie, Beppe Grillo, ha saputo declinare politicamente il marketing relazionale e quello più recente (in particolare il tribal marketing) permettendo agli elettori di costruire legami, di discutere programmi e anche di entrare direttamente nelle istituzioni. È riuscito a interpretare pienamente la LovePolitik, che imporrà i suoi schemi a tutti i partiti. Questa, almeno, è la mia convinzione.

Non deve lasciare perplessi la vicinanza tra scelte politiche e aziendali. Non è una novità. Il partito di massa del Novecento era costruito sul modello delle burocrazie pubbliche e “sulla struttura dei grandi sistemi produttivi nati a ridosso della seconda rivoluzione industriale. Fabbriche del consenso e della legittimazione avevano assunto la stessa logica di funzionamento delle grandi fabbriche di prodotti e servizi, centralizzate e burocratizzate, meccanizzate e standardizzate, rigide e rigorosamente territorializzate, pensate per la programmazione e pianificazione di lungo periodo”(Marco Revelli, Finale di partito, Einaudi). Poi c’è stato uno scatto. “Non poteva
sopravvivere quel modello di partito – in quell’assetto – nell’epoca dell’interdipendenza globale e dell’esternalizzazione, dei sistemi reticolari a geometria variabile e della gestione sistematica dell’incertezza e della imprevedibilità. Nell’universo liquido dell’ipermodernità postindustriale, per dirla con Zygmunt Bauman“(Marco RevelliFinale di partitoEinaudi).

La politica è diventata un’esperienza emotiva e si rafforza nelle relazioni della comunità. Gianroberto Casaleggio l’ha visto prima degli altri e ha gettato le basi per costruire un non partito che ha lanciato una sfida ai movimenti tradizionali. Il leader del Pd, Matteo Renzi, ha intuito la posta in gioco ma è chiuso in un recinto politico che sarà molto complicato trasformare sul modello dei Democratici di Bill Clinton, del New Labour di Tony Blair o di En Marche! di Emmanuel Macron. Su un altro versante l’ideatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi, benché consumato da esperienze di governo non proprio esaltanti, è ancora un gigante della comunicazione politica e della propaganda. Il Cavaliere sa benissimo dove stiamo andando ma rischia di restare indietro se anche lui non sottoporrà il suo partito a una profonda mutazione. Non basta l’apparenza. La LovePolitik richiede nuove logiche,
nuovi approcci e un punto di vista fondato sulla condivisione tra le persone. Invita all’apertura, al confronto, alla meritocrazia. Non alle consunte liturgie dei partiti che, purtroppo, ancora dettano le regole in gran parte della politica italiana. È l’ultima occasione per tornare con i piedi per terra. Per avvicinare le istituzioni ai cittadini. Per ricostruire la nostra debole democrazia. Il marketing è uno “strumento” decisivo. “Ha svolto un ruolo chiave nel ridare forma alle ideologie politiche negli Stati Uniti e farà lo stesso nelle democrazie di tutto il mondo, compresa l’Italia”, scriveva quasi quindici anni fa Newman.

Adesso con lo sviluppo del web 2.0, delle piattaforme politiche online e del confronto tra i cittadini che condividono idee e territori è ancora più evidente. La mia riflessione è partita dalla considerazione di come
il marketing, tradizionalmente usato dalle imprese per conquistare quote di mercato, abbia influenzato sempre di più i partiti dandogli la possibilità di disegnare nuove prospettive. Diventando esso stesso, grazie alla Rete, una politica. Non soltanto un metodo ma anche un patrimonio antropologico, la chiave per comprendere gli esseri umani nell’era tecnologica. Sono convinto che ormai gli uffici marketing delle multinazionali conoscano e interpretino i bisogni, le preferenze e i comportamenti delle persone molto meglio dei dipartimenti universitari di
scienze sociali. Ho raccontato brevemente lo scenario americano, patria delle strategie commerciali applicate alla competizione tra candidati, e quello europeo, che si è progressivamente adeguato a quei principi, anche se restano differenze rilevanti. Infine mi sono soffermato sul MoVimento 5 Stelle. Lo giudico il fenomeno politico più straordinario degli ultimi anni. È riuscito a conquistare le istituzioni del nostro Paese senza soldi e senza tv perché, questa è la mia tesi, ha portato nell’agone politico il marketing più avanzato, ridando voce ai cittadini.
Può piacere o no, ci sono ombre ed effetti collaterali da analizzare, ma la strada è segnata. Per le organizzazioni politiche e le aziende.

Il comico Antonio Albanese ha inventato un personaggio politico che nei suoi comizi cavalca talmente tanto la demagogia che finisce per urlare agli elettori: “Vi prometto le promesse!”. Il mio libro porta con sé l’auspicio che, proprio usando il marketing di ultima generazione, i candidati e i rappresentanti nelle istituzioni riescano a liberarsi della propaganda, mettendo al centro della loro azione politica i bisogni dei cittadini. Guardando, soprattutto, alle prossime generazioni.
LovePolitik_COVER (1)

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