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L’appello di Papa Francesco contro la globalizzazione dell’indifferenza

La città, cioè il mondo: e il Vangelo, cioè lo strumento a disposizione di tutti per sviluppare quegli anticorpi che possono salvarci dalla mondanità. Si può riassumere così la preghiera mariana che Papa Francesco, come è tradizione, ha scritto e scandito sotto la statua di Maria Immacolata, nel centro di Roma, in occasione della festa dell’Immacolata. Il suo sguardo, lo sguardo dell’uomo Bergoglio arcivescovo del mondo-metropoli dove ha vissuto in metropolitana, tra i cartoneros, tra i movimenti popolari, è partito dai cittadini, nativi o immigrati fuggiti da guerre e carestie, che attraversano non senza difficoltà le vie della metropoli per recarsi al lavoro. Nella sua preghiera sono risuonati i loro passi: “Il cammino di quanti ogni giorno, a volte con fatica, attraversano Roma per andare al lavoro; dei malati, degli anziani, di tutti i poveri, di tante persone immigrate qui da terre di guerra e di fame. Grazie perché, appena rivolgiamo a te un pensiero o uno sguardo o un’Ave Maria fugace, sempre sentiamo la tua presenza materna, tenera e forte”.

E sentendo gli aneliti e le ansie che si accavallano per quelle strade, nelle metropoli-mondo, ha elencato i mali contro i quali abbiamo bisogno del Vangelo, potente generatore di anticorpi. “O Madre, aiuta questa città a sviluppare gli ‘anticorpi’ contro alcuni virus dei nostri tempi”. Nella preghiera, Francesco li elenca tutti questi “virus”, che corrompono la nostra società: “L’indifferenza, che dice: ‘Non mi riguarda’; la maleducazione civica che disprezza il bene comune; la paura del diverso e dello straniero; il conformismo travestito da trasgressione; l’ipocrisia di accusare gli altri, mentre si fanno le stesse cose; la rassegnazione al degrado ambientale ed etico; lo sfruttamento di tanti uomini e donne”.

“Aiutaci a respingere questi e altri virus con gli anticorpi che vengono del Vangelo”, l’invito di Francesco: “Fa’ che prendiamo la buona abitudine di leggere ogni giorno un passo del Vangelo e, sul tuo esempio, di custodire nel cuore la Parola, perché, come un buon seme, porti frutto nella nostra vita”. La fede vissuta come acqua viva, cioè acqua che scorre, come scorre il tempo fino a diventare “il nostro tempo”, non acqua stagnante, e quindi corrotta, questa fede per lui è un potente moltiplicatore degli anticorpi prodotti dal Vangelo.

Questo discorso, che vede nella metropoli il mondo, è rivolto a Roma come a tutte le metropoli. Le metropoli che segnano e innervano la nevrosi di Jorge Mario Bergoglio, l’uomo che non può vivere fuori dalla metropoli perché figlio di un tempo di urbanizzazione galoppante. E le grandi malattie che indica riguardano il nostro tempo, questa urbanizzazione globale irreversibile ma selvaggia, senza rispetto ambientale, rispetto dell’uomo, rispetto del bene comune, rispetto del prossimo, in quella che lui chiama “globalizzazione dell’indifferenza”. Basta guardarsi attorno, nelle metropoli d’oggi, per scorgere i volti di cui ha parlato Bergoglio. Ma è la forza della sua radicalità evangelica a emergere: è il Vangelo al centro della vita, del magistero, della lettura dei tempi. Sta qui la forza del suo messaggio, delle sue marcate e volute insistenze, che allarmano alcuni.

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