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Vi racconto perché Roma è (sempre) una città a metà

“Roma è la città eterna non solo per le sue bellezze millenarie. Ma anche perché eterni sono i suoi problemi“. Davide Desario la capitale d’Italia la conosce benissimo, per esserci nato e vissuto ma anche in virtù del suo ruolo di giornalista al Messaggero. Dove è entrato, a soli 24 anni – nel 1995 – come semplice cronista, fino ad arrivare ad assumere la funzione di responsabile del sito che ricopre dal 2013. Un’esperienza, e una conoscenza della città, che ha raccontato nel libro “#RomaBarzotta. Cronache di una città sempre a metà” del 2015, cui è seguito nelle scorse settimane “Roma Barzotta 2″ – edito sempre da Avagliano – che raccoglie gli articoli scritti negli ultimi anni da Desario per il Messaggero nella rubrica “Senza Rete”.

Roma è come una bella donna trasandata e abbandonata: una città a metà che da un lato ti abbraccia e dall’altro ti prende a schiaffi“, ha commentato Desario in questa conversazione con Formiche.net. Nella quale ha evidenziato i punti di forza della Capitale, ma anche le sue tante e ataviche inefficienze: “Per farla tornare a splendere è necessario che riprenda a funzionare, a cominciare dai trasporti, dalla cura del verde pubblico e dalla gestione dei rifiuti: già questo le consentirebbe di ripartire alla grande“. D’altro canto – ha osservato il giornalista – occorre anche andare più in profondità: “E’ una città nella quale bisogna lavorare molto sul senso civico, sul rispetto delle regole: non è che non esistano, ma si vuole che le rispettino soltanto gli altri. Per sé stessi si chiede sempre l’eccezione, la deroga. E purtroppo, poi, i risultati sono sotto gli occhi di tutti“. Ma, in questo senso, non si può neppure non sottolineare come la virtuosità dell’amministrazione aiuti e spinga i cittadini ad essere a lor volta più virtuosi: “E’ come la famosa finestra rotta di Rudolph Giuliani a New York. Laddove si fanno funzionare le cose, inevitabilmente le persone sono portate a tenere comportamenti più appropriati. E’ lo stesso motivo per cui i romani si comportano bene quando sono all’estero e i turisti non così tanto quando sono a Roma“.

Ed è qui che vengono in gioco la politica e le istituzioni cittadine: “La Capitale ha bisogno di un intervento graduale e continuo. Questo alternarsi di amministrazioni diverse – che puntualmente demoliscono ciò che è stato fatto dalle precedenti senza dare mai continuità – non ha giovato affatto alla città“. E ha determinato l’attuale situazione di crisi: “Ci vuole tempo per invertire la tendenza. Sicuramente un grande evento – com’è stato Expo per Milano – potrebbe essere un volano di sviluppo immediato con cui invertire la rotta. Siamo pieni di ricchezze e di potenzialità e dobbiamo fruttarle. Ad esempio gli Internazionali di Tennis sono un fiore all’occhiello mentre, purtroppo, la grande musica si ferma troppo spesso a Milano“.

In tutto ciò si è fatta anche largo l’idea che vi sia una sorta di contrapposizione tra la logica dell’amministrazione quotidiana – concentrata sui problemi di tutti i giorni – e quella che, invece, fa leva sui grandi progetti per dare sviluppo e futuro alla città. Con la conseguenza, almeno a giudicare da quanto avviene oggi a Roma – di non riuscire a perseguire né l’una né l’altra: “Teoricamente è sempre giusto partire dalle piccole cose e lanciarsi verso i grandi traguardi quando si è davvero pronti. Però una città come Roma non può rinunciare in partenza a opportunità che, se ben gestite, avrebbero la capacità di rilanciarla. Le Olimpiadi sono il caso più eclatante ma non l’unico. Si pensi soltanto, a questo proposito, che la città non si è neppure candidata a ospitare l’Ema – l’Agenzia europea del farmaco – che poi è stata assegnata ad Amsterdam. Un atteggiamento un bel po’ tafazzista a mio avviso, perché significa dire addio, già in partenza, a progetti che potenzialmente potrebbero avere un impatto molto positivo sulla città. Senza contare l’entusiasmo che queste possibilità sono in grado di generare“.

Ma perché ci sono così tanti problemi a Roma? Perché soluzioni che altrove sembrano così semplici nella Capitale invece non si riesce quasi mai ad attuarle? Tra le ragioni – ad avviso di Desario – c’è anche la vastità della Capitale: “E’ veramente troppo grande, si fa un’enorme fatica a tenerla sotto controllo. Basti pensare al paragone con Milano che certamente funziona molto meglio. Il capoluogo lombardo ha un’estensione geografica che è sedici volte inferiore a Roma“. Da qui prende spunto anche la proposta di rendere autonome alcune parti della città, in particolare Ostia, dove i cittadini hanno appena eletto la cinquestelle Giuliana Di Pillo a presidente del Municipio: “L’autonomia è certamente una soluzione. Ostia dovrebbe essere un Comune a sé stante. Solo per popolazione sarebbe la quattordicesima città italiana e la seconda del Lazio dopo Roma. Un quartiere che è distante dal centro della città ben 25 kilometri, che sono tanti. In Toscana in questa estensione ci sono 15 paesi. Fiumicino che a fine anni ’90 ha ottenuto l’autonomia con un referendum, poi è rinata sotto tanti profili. La stessa cosa dovrebbe farla Ostia“.

L’impressione generale è che manchi una visione di lunga gittata in virtù della quale immaginare come Roma dovrebbe trasformarsi progressivamente negli anni e nei decenni a venire: un’assenza evidente di progettualità, se si guarda ad altre metropoli europee e mondiali quali Londra o Parigi. “Credo che si debba fare un bel tavolo attorno al quale far sedere tutti i soggetti pubblici e privati che a vario titolo sono interessati al futuro della città“, ha spiegato Desario. Che poi ha aggiunto: “In pratica ciò che sta facendo il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda la cui iniziativa è senza ombra di dubbio meritoria e importante. Bisogna che le forze responsabili della città – per il bene di Roma – abbandonino le loro logiche politiche, ma purtroppo mi sembra che si anteponga troppo spesso l’ideologia e l’interesse di parte a ogni scelta e decisione. E ciò ha contribuito a determinare l’attuale empasse“.

E ad aggravare la situazione c’è pure la fuga da Roma di alcune importanti aziende, in primis Sky, che a fronte di tutti questi problemi ed inefficienze stanno scegliendo sempre più spesso di trasferirsi altrove: “E’ il segno dei tempi: è normale che le imprese rispondano a logiche di efficienza. Perché rimanere in realtà che non funzionano? Quest feomeno è abbastanza inevitabile. Ed è un impoverimento molto più grave di quanto si possa immaginare a prima vista. Dietro a una società come Sky che decide di abbandonare la Capitale, ci sono un bar che serve le colazioni la mattina o una tavola calda che prepara i pranzi che non lavorano più.  A risentirne, insomma, è anche l’indotto economico indiretto. E così la situazione finisce per avvitarsi su sé stessa“.

Ovviamente, comunque, non tutto è da buttare. Anzi, c’è ancora spazio per essere ottimisti: “Dobbiamo esserlo per forza. Siamo una delle città più belle e importanti del mondo. I margini per tornare a far splendere Roma ci sonotutti. A patto però di individuare la ricetta giusta. E, infatti, nel mio libro non parlo di inferno Roma, ma di ‘Roma Barzotta’: una città in bilico, che non riesce né a spiccare il volo verso il futuro né a difendere la sua millenaria storia“.

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