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Come e perché (anche) l’Egitto ha messo al bando il bitcoin

I bitcoin sono proibiti dall’Islam. Questa la conclusione cui è giunto lo scorso lunedì il gran muftì del Cairo Sheikh Shawki Allam, tra le massime autorità islamiche d’Egitto. Il leader del Dar Al Iftaa, il centro di ricerca legale islamica istituito nel 1985 dal governo egiziano, ha lanciato una fatwa per condannare la più popolare cryptovaluta del globo, perché “il bitcoin può essere dannoso per la sicurezza sociale ed economica del Paese”.

La condanna dell’autorità islamica giunge a supporto della decisione annunciata lo scorso 17 dicembre da Mohamed Omran, capo dell’Autorità egiziana di supervisione finanziaria (EFSA), di dichiarare illegittimo il commercio di bitcoins in Egitto. Formalmente, dunque, dietro alla fatwa del gran muftì vi sono ragioni di sicurezza nazionale, e in particolare l’esigenza di contrastare l’uso che dei bitcoins fanno i terroristi e gli estremisti nel Paese.

In realtà, spiega Egypttoday, la condanna egiziana dei bitcoin cela ragioni prettamente religiose. A spiegarlo è il consigliere del muftì, Magdy Ashour, che in un’intervista alla testata locale dichiara che la moneta virtuale deve essere bandita perché “non ha regole predefinite, che nell’Islam è considerato alla stregua dell’annullamento di un contratto, per questo è proibito”. Siccome la Banca Centrale d’Egitto non copre il valore dei bitcoin, commerciare con questa valuta, secondo i precetti islamici, non è dissimile dal praticare l’usura (ribā), un reato severamente proibito dal Corano, poiché Allah “ha permesso il commercio e ha vietato l’interesse” (Corano, II, 275-80).

La scelta del governo egiziano di vietare il commercio di bitcoins è stata dettata però anche da esigenze pratiche. Al momento infatti dei 93 milioni di egiziani, la maggior parte non possiede un proprio conto bancario, e, scrive Egypttoday, “per quanto le transazioni elettroniche siano aumentate negli ultimi anni, il sistema bancario in Egitto non ha una regolazione della valuta digitale”.

Il governo di al-Sisi non è il primo ad aver vietato l’uso di bitcoin. Diversi altri Stati di cultura e radici islamiche hanno preso la stessa decisione: è il caso del Marocco, del Bangladesh, della Turchia, ma anche del ricco Kuwait, che lo scorso 20 dicembre ha messo la parola fine sui bitcoins per la loro eccessiva volatilità sul mercato. Fanno eccezione nel mondo arabo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che, secondo Reuters, a dicembre hanno annunciato di lavorare a una nuova moneta digitale sulla scia del blockchain per le transazioni di confine.

 

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