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Le proteste in Iran faranno cadere il regime. Lo sostiene Mohsen Sazegara

L’attenzione dei media alle proteste in Iran è inesorabilmente scemata, specie dopo che il comandante dei Guardiani della Rivoluzione, il generale Mohammad Ali Jafari, ha annunciato la “fine della sedizione”. Ma in Iran la gente è ancora nelle strade, e l’universo degli attivisti per la democrazia intravede la possibilità di una caduta del regime. Ne è convinto Mohsen Sazegara, che la resistenza la studia e promuove da Washington.

Mohsen Sazegara Co-fondatore dei Guardiani della Rivoluzione, collaboratore dell’ex primo ministro Mir-Houssein Moussavi, candidato nel 2001 alla presidenza della repubblica bocciato dal Consiglio dei Guardiani per le sue idee non ortodosse, direttore di giornali, da quindici anni esule in Occidente, Sazegara esprime nella conversazione con Formiche.net il suo punto di vista sulle manifestazioni iniziate il 28 dicembre. Manifestazioni che, per estensione e durata, dimostrerebbero quanto profondo sia l’odio del popolo nei confronti del regime, e che contengono secondo Sazegara il seme del suo crollo.

Dott. Sazegara, le informazioni che ci giungono dall’Iran sono molto contraddittorie. C’è chi pensa che le proteste siano il principio di una sollevazione di massa, e chi minimizza. Inoltre, il regime ha fatto sapere che la situazione è ormai sotto controllo. Cosa sta succedendo veramente?

In Iran è in corso una sollevazione delle classi popolari e del ceto medio contro il regime, che è odiato dai manifestanti. È un movimento nazionale, diffuso in tutto il paese, come dimostra il fatto che, per la prima volta, ci sono proteste in tutte le città e perfino nelle aree rurali.

Quali motivi hanno spinto gli iraniani a scendere in piazza?

Basandosi sui loro slogan, possiamo individuare due motivi per cui i manifestanti sono scesi in piazza. Primo, la corruzione. La gente è stufa del fatto che il 50% dell’economia del paese è nelle mani dei leader islamici e dei Guardiani della rivoluzione. Vogliono indietro i loro soldi. Secondo, non si fidano più del regime e pensano che sia giunto il momento di indire un referendum per chiedere al popolo se voglia ancora una Repubblica islamica. Quarant’anni fa, la gente era a favore della Repubblica islamica, ma non sapeva bene in cosa sarebbe consistita. Oggi, tutti sanno cosa sia. Bisogna tenere presente una cosa. Della generazione di coloro che al tempo di Khomeini votarono – in modo plebiscitario, secondo i dati diffusi dal regime – il referendum istitutivo della Repubblica islamica, solo sette milioni sono ancora vivi. Degli altri 73 milioni di persone che compongono oggi la popolazione dell’Iran, la stragrande maggioranza a quel tempo o non era nata o erano bambini e quindi non parteciparono a quel referendum. Ecco perché, secondo me, la gente vuole che ci sia un nuovo referendum per decidere se proseguire o meno l’esperienza della Repubblica islamica. Lo vuole soprattutto chi vuole far cadere il regime. Io penso che, se la gente potesse dire un secco sì o no alla Repubblica islamica, il 99% direbbe no.

Secondo lei, questo tipo di proteste è in grado di fare cadere il regime?

La strategia di questo movimento è la resistenza civile. Che si basa su tre pilastri. Il primo è la protesta di massa. Il secondo è la non cooperazione, che significa boicottare il sistema, non ubbidire, non pagare i servizi, fermare le industrie, paralizzare le istituzioni. Il terzo pilastro è la defezione, soprattutto nelle forze armate. Sono tre le forze su cui si regge la Repubblica islamica: l’esercito, la polizia e i Guardiani della rivoluzione. L’esercito è tre volte più grande e molto più potente dei Guardiani. E l’esercito sta con il popolo e odia i Guardiani. Ci sono molti membri dell’esercito che, in abiti civili, sono scesi in piazza a protestare. Io credo che l’esercito sia pronto a defezionare. Anche la polizia sta dalla parte del popolo, con l’eccezione di quei corpi speciali che sono stati addestrati per sedare le rivolte, quelli che vanno nelle strade in assetto anti-sommossa per picchiare la gente. I poliziotti sono sintonizzati con il sentimento popolare e non farebbero mai del male alla gente. In questi giorni di proteste, molti poliziotti sono nelle strade e spesso, stringono le mani ai manifestanti. Infine, i Guardiani della rivoluzione, che sono il nerbo del regime. Sono circa 130 mila, cui dobbiamo aggiungere i membri della milizia Bassiji. In totale questi corpi contano su una forza di circa 400 mila uomini. Ma anche i Guardiani sono vulnerabili. Bisogna tenere presente che sono concentrati nella capitale e in pochi altri centri urbani. Nel resto del paese, specialmente nei piccoli centri, i guardiani sono vulnerabili perché lì tutti conoscono tutti e quindi non sono in grado di picchiare la gente, non vogliono uccidere i loro fratelli. Io credo che questa strategia, con i suoi tre pilastri, possa alla fine far cadere il regime. Noi ci stiamo lavorando.

Le proteste stanno andando avanti anche in questi giorni?

Sulla base delle informazioni in mio possesso posso dirle che le proteste stanno andando avanti, la gente è nelle strade in numerose città. Il regime sta cercando di fermare il movimento intervenendo sui sistemi di comunicazione, principalmente i sociali network, con cui la gente sta organizzando e coordinando le proteste. Il regime ha rallentato la rete così che la gente non riesca a caricare sulle piattaforme i video girati nelle strade. Con questo stratagemma, il regime vuole farci credere che le proteste stiano scemando, e che la situazione sia sotto controllo. Questo è il suo piano.

Cosa chiedono i manifestanti alla comunità internazionale, specialmente all’Europa?

Chiedono sostegno. Vogliono che si eserciti pressione sul regime, affinché non limiti la loro libertà di espressione e di manifestazione. Vogliono che si faccia pressione sul regime affinché non blocchi internet, o comunque sperano di ricevere un aiuto tecnico dai paesi occidentali affinché internet rimanga in funzione. Sperano inoltre che i paesi democratici, specialmente quelli europei, facciano chiare e comuni dichiarazioni a favore della democrazia. Ciò che i manifestanti vorrebbero è isolare il regime, e sperano in nuove sanzioni internazionali contro di esso. Perché se il regime non ha soldi, non può uccidere la gente. Tenga conto che il regime paga quotidianamente l’equivalente di un salario medio mensile – circa 200 dollari – gli uomini incaricati di sopprimere brutalmente le proteste. Ecco perché è fondamentale il ruolo della comunità internazionale. Il regime si deve sentire sotto pressione, bisogna fare in modo che ci pensi due volte prima di ricorrere alla forza.

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