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Un confronto serrato per far vivere l’Ilva

Il tempo non è una variabile indipendente. Hanno preso il via gli incontri al ministero dello Sviluppo economico tra il “management” e i sindacati metalmeccanici per determinare un accordo utile a garantire il futuro produttivo e occupazionale del gruppo Ilva.

NO AGLI ESUBERI

Si tratta di un’intesa che deve giungere al più presto, nonostante sulla vicenda in questione penda ancora il ricorso al Tar di Lecce contro i contenuti del Dpcm del 29 settembre scorso, relativi all’ambientalizzazione del sito di Taranto. Il tribunale amministrativo si pronuncerà il 6 marzo, due giorni dopo l’esito delle elezioni politiche. Il compito, quindi, che caratterizzerà il sindacato sarà quello di giungere a un epilogo positivo attraverso la trattativa al tavolo ministeriale, dopo aver dato anche l’assenso alla proposta di protocollo aggiuntivo al suddetto Dpcm, inviata dai ministri Carlo Calenda e Claudio de Vincenti ai vertici delle istituzioni locali pugliesi che avevano inoltrato il ricorso al Tar. A nostro giudizio questo atto giuridicamente rilevante poteva costituire un giusto punto di mediazione, ma per il presidente della Regione Puglia e per il sindaco di Taranto non è stato così.

Allora ben venga il confronto in sede ministeriale che deve porsi l’obiettivo di un piano industriale e ambientale condiviso tra azienda e sindacati. Allo stesso modo è stato gradito l’invito del viceministro dello Sviluppo economico Teresa Bellanova a continuare “il confronto con l’impegno nel voler arrivare a una soluzione utile ai lavoratori e ai cittadini che abbiamo sempre messo in questa vertenza, sin dal primo giorno”. È lo stesso traguardo a cui vuol giungere la nostra organizzazione. In questo senso ci ritroveremo al dicastero di via Molise nei prossimi giorni di gennaio: il 17, il 23 e 24, il 30 e 31. La succitata viceministro ha ribadito nell’incontro del 10 di questo mese che un’ulteriore calendarizzazione di incontri per il mese di febbraio, relativa alla prima settimana del mese medesimo, confermerebbe l’intenzione dell’esecutivo nel volere l’intesa tra le parti.

Abbiamo risposto che per la Uilm va bene. Infatti, la stessa Bellanova ci ha ribadito al tavolo del 10 gennaio che il protocollo d’intesa “in itinere” con la regione Puglia e il comune di Taranto non modificherà il Piano industriale presentato da Arcelor Mittal, piano sul quale dobbiamo continuare a confrontarci con celerità e determinazione. Il Piano industriale resta quello originario e non avrà modifiche a prescindere delle decisioni del Tar di Lecce sul ricorso. Quel piano così com’è non va e deve essere modificato attraverso un opportuno confronto tra noi e Arcelor Mittal. Solo dopo, sarà possibile condividerlo se ci saranno le modifiche da noi richieste. A partire dal numero degli esuberi dichiarati. Per mandare avanti il gruppo siderurgico più grande in Italia ci vogliono come minimo 15mila unità operative.

IL PIANO INDUSTRIALE DELL’ACELOR MITTAL

Non si capisce proprio come si potrà arrivare a una produzione annua di circa otto milioni di acciaio liquido e dieci milioni di tonnellate “di spedito” con quasi quattromila lavoratori in meno. Siamo curiosi di conoscere a questo proposito il punto di vista della direzione aziendale, proprio per convincerla delle nostre valide argomentazioni. È bene ricordare i punti salienti del piano industriale di Arcelor Mittal a noi presentato. Circa 2,4 miliardi di euro di investimenti nei prossimi 7 anni. Sono i numeri del piano industriale Ilva 2018- 2024 di Arcelor Mittal, capocordata del gruppo Am Investco, a Fim Fiom e Uilm su cui proseguirà il confronto nei prossimi mesi e utile ad avviare la seconda fase di trattativa sito per sito. La cifra totale è divisa in 1,25 miliardi per gli investimenti industriali e 1,15 miliardi per quelli ambientali. L’obiettivo riconfermato da Mittal d’altra parte è quello di arrivare a produrre, al più tardi entro l’agosto del 2023, una volta riattivato l’Altoforno 5, chiuso il 2 e realizzato il piano ambientale, 8 milioni di tonnellate che con l’aggiunta di 2,2 milioni di tonnellate di bramme e laminati porterebbe la produzione totale di acciaio grezzo a 10 milioni di tonnellate.

Nella fase 1 invece, in linea con le attuali autorizzazioni ambientali, si stima che entro il 2018 a Taranto si potranno produrre 6 Mtpa di acciaio grezzo e il rimanente fabbisogno di bramme/laminati a caldo (HRC) sarà soddisfatto con prodotti provenienti da altri stabilimenti ArcelorMittal nonché da fonti esterne. Tra gli investimenti industriali “per ripristinare e migliorare velocemente l’attività” confermate le spese di manutenzione, ammodernamento e automatizzazione oltre ai 240 milioni per il completo rifacimento dell’Altoforno 5 e ai 60 milioni per la Centrale elettrica. Sotto il profilo della strategia, il piano industriale di Arcelor Mittal prevede il funzionamento a pieno regime di tutte le linee Hdg (Genova, Novi e Taranto) mentre per Genova è allo studio, si legge, un’ipotesi nel campo dell’export per superare il livello di produzione previsto di 170mila tonnellate e la possibilità di “sinergie” tra Cornigliano (Ilva) e Canossa (AM). E sempre per Genova il piano prevede altri investimenti tra cui quello di riconversione di una linea HDG in una OC Combi-line (HDG3, 20 milioni di euro).

LA REGIONE PUGLIA RITIRI IL RICORSO AL TAR

La verità è che gli impianti, dato lo stallo in cui giace la vicenda Ilva si vanno pian piano fermando, mancano di manutenzione, non ricevono gli investimenti produttivi ed ambientali di cui abbisognerebbero da tempo. Insomma, più si perde tempo, più il gruppo Ilva rischia di perdere appeal per l’unico gruppo siderurgico designato ad acquisirlo. La verità è che altri non ce ne sono. Ecco perché non si può più perdere tempo. Ecco perché sindaco di Taranto e il governatore della Puglia devono decidersi a ritirare il ricorso contro il decreto della presidenza del Consiglio sull’ambientalizzazione dell’Ilva. Così possono fare la loro parte per salvaguardare occupazione e produzione del gruppo in questione, mediante una decisione responsabile che non faccia perdere gli investimenti e che possa davvero assicurare futuro alla più grande azienda italiana della siderurgia. Noi non possiamo che agire con responsabilità, modificando quel piano industriale, sostenendo la forza lavoro esistente e il rilancio produttivo.

Ricercando su queste basi un accordo positivo che soddisfi le parti e che garantisca il futuro dell’Ilva e la prospettiva per le famiglie dei 20mila lavoratori diretti e dell’indotto. Siamo convinti di riuscire nell’intento.

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