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Foreign fighters in Italia? Fidatevi delle istituzioni. Parola di Andrea Manciulli

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“La notizia rivela una proficua attività di collaborazione e scambio di informazioni tra le autorità italiane e quelle tunisine, nonché la bontà delle rispettive capacità di intelligence”. Così Andrea Manciulli, presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato e vicepresidente della commissione Esteri della Camera, raggiunto telefonicamente da Formiche.net, prova a stemperare gli allarmismi creatisi dopo la diffusione della notizia secondo la quale l’Interpol avrebbe fatto circolare una lista con 50 nomi di sospetti foreign fighters tunisini facenti capo al sedicente Stato Islamico che, secondo la stampa britannica, sarebbero di recente approdati in Italia.

“Su questo scambio di informazioni è necessario lavorare ancora di più per far fronte al fenomeno dei foreign fighters, sia in Europa sia con i Paesi extraeuropei. In Italia – ha tenuto a sottolineare Manciulli – tutti gli organismi preposti a fare vigilanza stanno monitorando attentamente il fenomeno legato all’ingresso in Italia di persone provenienti da contesti di guerra”. Infatti, “le autorità e i servizi d’intelligence italiani sono perfettamente consapevoli del rischio che ex combattenti, una volta terminata l’esperienza nei vari teatri di guerra mediorientali, possano penetrare in Italia. Tuttavia – ha proseguito – si tratta di problemi che occorre affrontare a mente lucida e senza inutili allarmismi”.

Ora che, sia in Siria che in Iraq, Isis è stata definitivamente privata della sua profondità territoriale, molti esperti hanno avvertito del rischio concreto che un numero significativo di ex combattenti possa giungere dalle zone di conflitto. Tuttavia, avverte il deputato del Partito Democratico, “occorre dire che non tutti i cosiddetti foreign fighters faranno ritorno a casa o cercheranno gloria in Europa. Una parte, come è sempre successo, tenderà a dislocarsi verso altri scenari di crisi, penso alle diverse regioni del Sahel Africano o alla Libia o addirittura all’Afghanistan, dove vi sono le condizioni endemiche perché questi ex militanti possano continuare a combattere”.

I focolai di tensione da osservare quando si monitora il fenomeno dei foreign fighters non sono confinati ai paesi mediorientali. Infatti, ha spiegato Manciulli, “la Nato segue con particolare attenzione gli sviluppi dell’area balcanica”, il cui mosaico etnico e religioso “obbliga ad un costante e attento monitoraggio”.

Diversi Paesi stanno emergendo come nuovi serbatoi di foreign fighters. In particolare, come precisato dall’onorevole, “oggi la maggior parte dei combattenti non viene più dalle zone del quadrante mediorientale, ma dalle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale”. I Paesi di provenienza dei combattenti cambiano quindi velocemente, complicando il lavoro dei servizi di intelligence nazionali. È fondamentale, ha concluso Manciulli, “rafforzare e perfezionare lo scambio di informazioni di intelligence tra i diversi Paesi, soprattutto con quelli da cui proviene il maggior numero di militanti”.

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