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Fintech, addio al modello di universal banking?

Di Roberto Ferrari
Fintech

Il fintech non è un fenomeno nuovo né passeggero. Fa parte da un lato del processo di trasformazione tecnologica del settore finanziario, già partito negli anni 60, e dall’altro di una più ampia evoluzione dell’intera economia e della società verso la quarta rivoluzione industriale.

Il fintech ha confini larghi ed è globale. Come tale, non può essere confinato alle sole start up focalizzate sulla digitalizzazione dei servizi finanziari, ma va oltre, abbraccia e si interseca con campi e sviluppi nel mondo dell’intelligenza artificiale, nelle sue varie componenti, dal machinelearning al big data analytics, dalla biometria all’identità digitale, sino ai distributedledger, le cryptocurrency, l’Internet of things, il mobile, il wearable e il regtech. È davvero difficile riuscire a tracciarne i confini. Anche perché non è solo appannaggio delle oltre 3mila start up che nel mondo ci lavorano, ma anche delle stesse aziende e istituzioni finanziarie, dei loro fornitori tecnologici e dei player agguerriti che entrano da campi e settori confinanti, quali l’e-commerce e il web più in generale nelle sue più recenti evoluzioni, dalla sharing economy al mobile, dai social network ai marketplace digitali.

Il fintech è anche globale: riguarda la Silicon Valley, come New York, come Londra, Berlino, Milano, ma anche Tel Aviv, Nairobi, Singapore, hong Kong, Pechino, fino a Sydney e via dicendo. La trasformazione è già iniziata. Ciononostante il suo sviluppo sembra molto locale e inizia a essere quotidiano anche in Italia. È inoltre a diverse velocità, a seconda di quanto l’ecosistema locale ne stimoli lo sviluppo. Ma, attenzione, l’eventuale maggiore lentezza non vuol dire che non si imporrà.

Il fintech è già tra noi. Pensiamo a come sta cominciando a cambiare, ad esempio, il modo in cui effettuiamo i pagamenti. Se è vero che il contante continua a farla da padrone, con oltre l’80% delle transazioni, è anche vero che dopo anni di tentennamenti è finalmente esplosa la modalità di pagamento con le carte contactless, che sfruttano cioè la modalità tap&go. Solo lo scorso anno, i tassi di crescita di utilizzo sono stati del 700% rispetto al 2015. I cosiddetti nuovi pagamenti digitali, secondo quanto stimato dal Politecnico di Milano, nel 2016 hanno superato i 30 miliardi di euro.

Si affacciano nuove soluzioni che sfruttano questa crescita per passare con forza ai pagamenti mobile, da Satispay ad ApplePay, anche e soprattutto via pagamenti in-app (pensiamo a tutte le appdella sharing economy che sfruttano pagamenti mobile via wallet, allestesse app della mobilità o al send money). Siamo solo agli inizi, gli instant payment stanno per arrivare anche per i bonifici e con essi tante nuove soluzioni di pagamento digitale, spinte anche dalle nuove normative di settore, Psd2 (direttiva europea sui servizi di pagamento nel mercato interno) in primis.

Quella dei pagamenti è la prima arena dove si vedrà un’incisiva trasformazione già nel prossimo anno. Ma questo rinnovamento va oltre, invadendo i vari spazi del banking, dalle nuove piattaforme di credito online per le imprese ai nuovi robo-advisor, dall’equity crowdfunding al peer-to-peer lending, molti sono i modelli di business alternativi che si aggiungono a quelli tradizionali e che modificheranno un po’ tutto, anche il modo in cui l’investment banking stesso viene fatto. Bisogna dunque dire addio al modello monolitico di universal banking. La trasformazione va al cuore dei business model. Il sistema bancario ha vissuto per centinaia di anni sostanzialmente con lo stesso modello, denominato, appunto, universal banking, dove ogni banca di fatto faceva più o meno tutto per tutti, tutto “fatto in casa” con la propria fabbrica-prodotto. Il risultato finale era quello di una scarsissima differenziazione tra banche, con servizi spesso non adeguati.

Lo scenario più probabile che si sta configurando, al di là dell’inevitabile concentrazione tra attori del settore, è quello della coesistenza di diversi modelli di business in competizione tra loro, anche provenienti da settori contigui o più lontani (dalle investmentbank stesse alle società telefoniche, passando per le grandi web company) facilitati dal crollo delle barriere all’ingresso; offerte diverse – non necessariamente complete o universali – sempre più tese verso una vera personalizzazione dei servizi. Vi saranno diverse forme di coopetition, cioè di collaborazione tra concorrenti, destinati a differenziarsi poi proprio sulla capacità di generare utilità, user experience e valore per il cliente a costi efficienti, a seconda del tipo di servizio.

Un nuovo mondo è alle porte, molto più vicino di quanto si pensi, forse un po’ più lentamente di quanto gli startupper desiderassero qualche anno fa, ma ciò non tragga in inganno: il rinnovamento del settore finanziario è iniziato e non si fermerà.

(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche)

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