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Trasparenza batte privacy. Kushner dovrà svelare i nomi dei suoi ex soci

Un giudice federale ha stabilito che l’azienda un tempo guidata da Jared Kushner – rampollo di successo, marito di Ivanka Trump, consigliere speciale della Casa Bianca, genero-in-chief – non è autorizzata a mantenere segreti i nomi dei suoi partner commerciali per quel che riguarda alcune attività immobiliari in Maryland. La corte ha dato ragione a una istanza presentata dalla Associated Press e da altri media – tra cui Washington Post e ProPublica – che chiedevano (almeno formalmente) di conoscere quei nomi perché coinvolti nell’ambito di una causa che gli inquilini di alcune palazzine avevano intentato per questioni legate agli affitti contro la Westminster Management, sussidiaria della Kushner Companies con in mano la gestione di un complesso residenziale da 17 fabbricati tra Baltimora, Middle River ed Essex.

Gli avvocati della Kushner affidavano la difesa al diritto alla privacy, i giornalisti sperano invece che scoprire le carte su quella inchiesta specifica possa aprire link sui nomi collegati al genero del presidente Donald Trump. La questione diventa particolarmente interessante perché l’amministrazione e la famiglia Trump sono da sempre accusate di essere poco trasparenti – per esempio: il presidente è una sorta di unicum nella storia americana anche per non aver reso pubblica la sua dichiarazione dei redditi.

Prevale l’interesse pubblico secondo il tribunale distrettuale: la Kushner Cos non ha diritto di alzare certe limitazioni per ragioni di governo, dice il giudice James Bredar, che adesso vuole depositato un documento aperto sui partecipanti del business in Maryland entro il 9 febbraio secondo un pensiero chiaro: il diritto all’informazione dei cittadini è prioritario (“L’aumento dell’interesse pubblico in un caso non supera di per sé la presunzione di accesso”, ha scritto Bredar nella sentenza, specificando che anzi “in effetti, lo rafforzerebbe logicamente, in particolare quando l’interesse è dovuto alla presenza di figure pubbliche importanti nel contenzioso”).

La sussidiaria di Kushner continua sulla sua linea, ritenendo che i resoconti dei media sulla disputa del Maryland erano “politicamente motivati” e contrassegnati da “ingiustificato sensazionalismo” (ergo, ancora più sensazionalismo, potrebbe essere collegato ai nomi dei coinvolti nell’operazione immobiliare). La Kushner Cos. ha diverse partecipazioni azionarie in giro per gli Stati Uniti: un grattacielo sulla Fifth Avenue di New York, una torre residenziale sul fiume Hudson nel New Jersey e dozzine di edifici più piccoli nella zona e in altri stati, inclusi gli appartamenti plurifamiliari al centro del dossier-Maryland.

Jared Kushner si è dimesso dal ruolo di amministratore delegato della Kushner Cos. all’inizio dello scorso anno per diventare consigliere senior del suocero e ha venduto parte delle sue partecipazioni in proprietà immobiliari per conformarsi alle norme sui conflitti di interessi federali (tuttavia ha mantenuto molte delle sue risorse). Non si sa molto su chi abbia investito insieme alla sua famiglia nel corso degli anni, sia quanti (e come) soldi arrivino dall’estero (e da dove), sia che banche o altre istituzioni finanziarie gli abbiano aperto prestiti.

In un disclaimer finanziario che Kushner ha depositato presso il governo federale a luglio si indicano i nomi delle società a responsabilità limitata con cui è in affari, ma non molti dei nomi dei proprietari di queste company. Per altro, in quel documento ufficiale, Kushner ha indicato di possedere ancora una partecipazione della Westminster Management, da cui avrebbe ricevuto 1,6 milioni di dollari di reddito personale.

Kushner è un fulcro centrale nell’azione di governo di Trump, e fa parte della cerchia famigliare al cuore del potere presidenziale.  I suoi collegamenti esterni sono particolarmente setacciati da media e inquirenti anche nel cosiddetto Russiagate, l’inchiesta che cerca di far luce su le interferenze russe durante le presidenziali e su eventuali collusioni col Team Trump, tornata in questi giorni al centro del dibattito pubblico americano perché, secondo il New York Times, il presidente Trump a giugno dello scorso anno avrebbe più che soppesato l’idea di licenziare Robert Mueller, lo special counsel incaricato dal dipartimento di Giustizia di guidare l’inchiesta; secondo le fonti del Nyt il consulente legale della Casa Bianca, Don McGahn, si sarebbe personalmente opposto a una decisione praticamente già presa.

Come fa notare la CNN siamo davanti all’ennesimo (il nono per l’esattezza) scoop giornalistico del genere, anche se Trump ha catalogato la questione (come al solito) una “fake news”. Pochi giorni fa il presidente invece si era detto pronto a farsi interrogare dal procuratore, che nel frattempo ha sentito altre persone di spicco all’interno dell’amministrazione e del sistema-potere della Casa Bianca (tra cui Kushner). Il licenziamento di Mueller sarebbe una mossa pericolosissima per Trump, mentre allo stesso tempo le voci a proposito alimentano il filone del Russiagate che cerca di capire se Trump abbia o meno cercato, anche attraverso i suoi uomini, di ostacolare il corso dell’indagine (per coprire collaboratori e famigliari).

 

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