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Per una lettura non faziosa delle liste Pd

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Leggendo le maggiori testate della grande stampa italiana che hanno commentato la formazione delle liste del PD sorprende come la loro attenzione sia stata prevalentemente dedicata alle grandi esclusioni, da quella di Ermete Realacci a quella di Nicola Latorre, solo per citarne qualcuna, descrivendo inoltre quanto accaduto nella Direzione che ha approvato le candidature come un sanguinoso regolamento di conti, o come una feroce decapitazione voluta da Renzi di suoi avversari interni, con il proposito di costruire gruppi parlamentari a lui vicini, prefigurandoli come avamposti di un ormai prossimo partito personale e via dicendo.

Ora, tralasciando di commentare l’affermazione di Ugo Sposetti che ha definito Renzi un “delinquente seriale” – una caduta di stile del vecchio tesoriere dei DS che si commenta da sola – ci poniamo una domanda: secondo gli osservatori politici che hanno valutato la formazione delle liste del Partito democratico il ricambio che le ha caratterizzate non sarebbe mai dovuto avvenire? Per quei notisti si dovrebbe forse essere candidati a vita, in quello come in tutti gli altri partiti? Se non ci fosse rinnovamento in tutte le liste probabilmente si scriverebbe che i partiti non hanno – o almeno non hanno più – alcuna attenzione alla società civile, o che punterebbero su candidati ormai logori. Ma poi le sostituzioni di alcuni candidati vengono presentate – almeno nel PD – come congiure di un Segretario qualificato come un “delinquente seriale”.

Intanto sarebbe opportuno osservare che Ermete Realacci, autorevole rappresentante dell’ambientalismo più equilibrato del nostro Paese, è entrato in Parlamento nel 2001, ed è stato poi rieletto consecutivamente nel 2006, nel 2008 e nel 2013: sono diciassette pertanto gli anni trascorsi alla Camera, e non sarebbe perciò il caso di ritenerli un periodo abbastanza lungo speso onorevolmente da deputato al servizio del Paese? Lo stesso dicasi per il Senatore Nicola Latorre. Chi scrive ha il piacere di conoscerlo personalmente e di stimarlo da lunghi anni e ricorda che entrò in Parlamento in elezioni suppletive in un collegio del Barese nel 2005 per poi essere rieletto nel 2006, nel 2008 e nel 2013. Sono 12 pertanto gli anni trascorsi in Parlamento dall’autorevole uomo politico originario di Fasano in provincia di Brindisi il quale, ancor prima della sua elezione, era stato a lungo uno dei consiglieri più fidati di Massimo D’Alema, soprattutto quando questi aveva guidato il Governo del Paese. A sua volta, Gianni Cuperlo, autorevole esponente della Sinistra del PD – che si è autoescluso dalla candidatura nel collegio di Sassuolo in Emilia, affermando correttamente che non era stata concordata con i dirigenti locali del partito – era stato eletto in Parlamento nel 2006 e poi riletto nel 2008 e nel 2013. Anche lui pertanto ha al suo attivo 12 anni di vita da deputato.

Ma perché poi la grande stampa nazionale non legge e non commenta le liste del PD dell’Italia profonda, ovvero le candidature nei collegi meno noti e meno alla ribalta nazionale, dal Piemonte al Friuli, dall’Emilia all’Abruzzo, dal Lazio alla Puglia, dalla Basilicata alla Calabria, dalla Sicilia alla Sardegna per individuarvi i profili di tutti coloro che sono stati scelti come candidati, eleggibili o meno che siano? Solo quelle dei big di qualunque partito fanno notizia? Solo le candidature dei vip meritano ampia menzione? Ma quando impareranno le penne più prestigiose del giornalismo nazionale a investigare in profondità la realtà italiana delle piccole, medie e grandi città di provincia ove ogni giorno vivono, lavorano, studiano e producono, milioni di italiani che hanno pari dignità di quella di tutti gli autorevoli esponenti politici ricandidati o esclusi dalle liste in questi giorni? E perché poi continuare a rappresentare le vicende interne di un grande partito come il PD solo come un sanguinoso regolamento di conti fra gruppi dirigenti, senza considerare affatto i referenti sociali, i bacini reali di consenso e la constituency del partito stesso?

Ed Enrico Letta – che ha rilasciato un’intervista alla Stampa di Torino in cui afferma che il Partito democratico, con queste candidature sta andando “verso l’abisso” – non si rende conto di quanto ormai sia percepito da larga parte dell’opinione pubblica italiana come lontano dalle effettive dinamiche del nostro Paese, essendosi trasferito a Parigi come docente in una prestigiosa scuola francese di formazione politica? Perché invece non è rimasto in Italia, percorrendola in lungo e in largo, visitando fabbriche, scuole, Università, centri commerciali, città piccole e grandi, per cercare di comprendere sino in fondo i profondi mutamenti sociali, economici, culturali e antropologici in corso nel nostro Paese? Sempre e soltanto “lezioni da lontano” si pretende di impartire a chi come Renzi dirige un partito alla cui guida è stato rilegittimato da un congresso e da primarie che lo hanno visto largamente vincitore? Non avrebbe potuto invece l’Onorevole Letta, restando in Parlamento e in Italia, continuare a combattere nel PD una serrata ma limpida battaglia di minoranza, impostandola su rigorosi contenuti programmatici e soprattutto legandosi a segmenti vivi e reali della società nazionale? Non era stato forse legato alla prestigiosa figura di Beniamino Andreatta? Andando via dal nostro Paese ha lasciato i componenti dell’area che gli erano vicini privi di un autorevole punto di riferimento, costringendoli così a cercare nuove collocazioni di area, come è accaduto fra gli altri all’Onorevole Francesco Boccia, pugliese, docente all’Università di Castellanza nel Varesotto, che è stato per anni fra i più autorevoli rappresentanti dell’area lettiana in Italia e che poi, privo di un leader di corrente, si è avvicinato al Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

Ma quanto detto a proposito di Enrico Letta vale per tutti i rappresentanti delle minoranze del PD. Quanti di loro hanno solide basi in gruppi sociali forti sui territori, nei luoghi di lavoro, negli Atenei, nei ceti professionali o fra gli imprenditori? Ascoltandoli o leggendoli non si ha spesso la sensazione che, parlando, rappresentino invece solo se stessi? Evocano Jobs Act e buona scuola da cambiare, ma quanti poi dialogano abitualmente con capireparto, quadri, tecnici e dirigenti di fabbriche diffuse in tutto il Paese, o con migliaia di professori di decine di scuole italiane?

In Germania la sinistra della SPD ha avuto e conserva i suoi referenti in gruppi sociali ben definiti e in grandi aree del Paese e forte di questi legami ha dato battaglia a Martin Schulz contro l’ipotesi di una riedizione della Grande coalizione. Ma in Italia quali sono i referenti sociali reali e direttamente conosciuti e frequentati della Sinistra del PD? Se ne potrebbe discutere in un confronto pacato e civile e soprattutto senza schematismi e senza ostilità pregiudiziali contro l’attuale Segretario del partito?

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