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Perché il generale Kelly è sempre più influente alla Casa Bianca

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Coloro che negli ultimi sei mesi alla Casa Bianca hanno avuto a che fare con John Kelly si sono meravigliati per il lavoro svolto e l’enorme contributo nel riportare ordine all’interno di una leadership già sconvolta da faide interne e rivalità. Il generale quattro stelle del corpo dei Marines, già Segretario dell’Homeland Secuity, era stato chiamato dal presidente a rivestire l’incarico di Capo dello Staff e sostituire il suo predecessore, Reince Priebus, con il mandato di riorganizzare una macchina che fino a quel momento aveva avuto non pochi problemi.

Con basso e profilo e una capacità di controllo fuori dal comune, Kelly si è imposto gradualmente fino a giocare un ruolo centrale su una serie di dossier, anche politici, che l’hanno portato ad essere uno dei volti più noti e saggi dell’amministrazione Trump.

Il primo obiettivo del generale, una volta arrivato alla Casa Bianca a fine luglio dell’anno scorso, era stato quello di approntare un solido sistema di filtri per regolare l’accesso allo Studio Ovale da parte dei tanti, forse troppi, interessati ad avere un incontro con Donald Trump. Fino a quel momento l’organizzazione dell’agenda presidenziale aveva seguito dei criteri non proprio rigidi e questo contribuiva ad alimentare il clima di caos tra le fazioni interne, che sino a quel momento avevano utilizzato il pretesto dei meeting col presidente per rinforzare la propria posizione e contrastare la linea delle altre.

Una circostanza inconcepibile per Kelly, che nell’arco di pochi mesi ha ridotto e normalizzato l’agenda delle visite, con un assetto di regole che vale tanto per i suoi collaboratori più stretti quanto per i membri del Congresso.

L’apprezzamento da parte di Trump per il lavoro svolto si è un po’ alla volta tradotto in un coinvolgimento più ampio in tutte quelle questioni affrontate dalla Casa Bianca in cui Kelly avrebbe potuto far sentire la propria voce. Tra queste, un peso particolare è stato dato al tema immigrazione.

Prima di arrivare al 1600 di Pennsylvania Ave, il generale aveva rivestito l’incarico di Segretario dell’Homeland Security, una posizione in cui i temi legati all’immigrazione sono centrali e in quell’esperienza aveva maturato una conoscenza fuori dal comune sull’argomento sia da un punto di vista puramente normativo che da un punto di vista più politico. Quella conoscenza è stata a dir poco fondamentale per uscire dalla crisi dello shutdown di pochi giorni fa.

Come riportato da Formiche.net, sin dalle prime ore Kelly aveva provato ad aprire una breccia tra i democratici, abbassando i toni sulla questione del muro e aprendo la Casa Bianca ad incontri a porte chiuse con i rappresentati dell’Hispanic Caucus.

Come nel gioco “poliziotto cattivo e poliziotto buono”, ad ogni dichiarazione agguerrita di Trump seguiva nelle stesse ore una linea più moderata, morbida, da parte del capo dello staff. Quello che ad alcuni poteva sembrare l’incipit di una crisi di fiducia tra i due in realtà nascondeva una precisa strategia per costruire sotto silenzio una via di fuga e un accordo sui Dreamers.

Risultato concreto: a poche ore dalla dichiarazione di shutdown per i contrasti al Senato, la Casa Bianca (leggasi John Kelly) è intervenuta con autorevolezza e ha annunciato di voler lavorare per uscire dallo stato di crisi, con un accordo in grado di allineare i due fronti contrapposti. All’apertura di Trump sulla questione immigrazione è seguito l’ok dei democratici per prendere tempo e chiudere l’argomento shutdown.

Si è trattato di una vittoria politica e diplomatica al tempo stesso, i cui meriti vanno pienamente riconosciuti alla strategia di Kelly, che non ha lasciato nulla al caso e si è così conquistato la stima e l’apprezzamento di molti.

Data la situazione, Trump potrebbe voler contare ancora di più sul supporto del generale, anche per il valore fortemente simbolico dello shutdown, che aveva macchiato un anniversario importante e denso di significato come l’inauguration day e l’insediamento della squadra di America First alla Casa Bianca.

Del progetto originario di America First resta ben poco in realtà, soprattutto se si guarda ai volti dei collaboratori oggi al fianco del presidente. Non c’è più Priebus, non ci sono più Michael Flynn e Steve Bannon. Il loro posto affianco a Trump è stato occupato da persone come Kelly, più moderate e con un passato di tutto rispetto nel mondo della Difesa.

Grazie alla nuova organizzazione della Casa Bianca, alcuni dei problemi iniziali di questa amministrazione sono stati risolti e – nonostante le numerose partite ancora da giocare – è possibile che il contributo di uomini come Kelly sia destinato a crescere e incidere sugli assetti politici dei prossimi anni.

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