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Vi racconto perché, secondo me, le proteste in Iran non sono una vera rivoluzione

Iran

Il 28 dicembre scorso alcune proteste hanno iniziato a divampare in alcune città minori dell’Iran settentrionale, spostandosi in breve tempo in direzione della capitale, Tehran.

La stampa internazionale ha dato ampio risalto a questi fenomeni di piazza, di fatto presentandoli come una vera e propria rivolta se non addirittura come l’avvio di una nuova fase rivoluzionaria contro il vertice della Repubblica Islamica dell’Iran.

La natura delle manifestazioni che in questo momento scuote l’Iran è tuttavia riconducibile ad istanze di matrice economica e sociale, ha dimensioni meno ampie di quanto soprattutto alcuni attori esterni tendano a sostenere e, fattore al momento determinante, è del tutto priva di leadership e di motivazioni di natura politica.

CHI E PERCHÈ PROTESTA IN IRAN

La gran parte delle proteste che si sono susseguite in Iran nel corso degli ultimi giorni sono spesso del tutto diverse tra loro, raccordandosi solo alla fine in qualcosa di più omogeneo, quanto generico.

Si lamentano i cittadini delle aree recentemente colpite dal terremoto, accusando il governo – e soprattutto alcune società collegate al sistema industriale della Sepah-e Pasdaran – di aver costruito case in barba ai criteri anti-sismici, e di averli abbandonati al gelo dell’inverno e senza una prospettiva di soluzione per il futuro.

Si lamentano i tanti iraniani truffati da tre finanziarie fallite nei mesi scorsi, e che oggi comunicano di non poter far fronte agli impegni assunti, di fatto sancendo l’impossibilità di restituire i capitali investiti. Non ammettono, i truffati, di essere stati ingenui ad essere incappati in una truffa delle ben note “piramidi finanziarie”, ma accusano il governo di corruzione chiedendo indietro i propri risparmi, su cui speravano di speculare un buon 20% di interesse in soli sei mesi.

Protestano nel Sistan Baluchistan perché il governo non ha saputo trovare una soluzione al problema delle risorse idriche, puntando il dito sulla corruzione e sull’incapacità degli amministratori pubblici, e chiedendo un immediato intervento prima della fine dell’inverno.

E alla fine le proteste arrivano a Tehran, e qui la gente scandisce slogan contro il governo, accusandolo in una piazza di non aver attuato alcuna misura per il contrasto alla dilagante corruzione, e in una vicina strada accusando Rohani di aver ingannato gli iraniani con la promessa di uno sviluppo economico rapido e consistente all’indomani della firma del JCPOA. Fanno eco qualche isolato più in là alcuni gruppi che gridano all’emergenza occupazionale, chiedendo al tempo stesso lo sviluppo di una nuova politica per il sostegno abitativo dei giovani iraniani.

Si raccordano in tal modo, nelle strade dell’Iran, le rimostranze e le lamentele più diverse, quanto spesso legittime, della società iraniana, in un insieme tuttavia del tutto disordinato e soprattutto acefalo sotto il profilo della leadership.

Non c’è una cabina di regia, così come non c’è una preminenza ideologica o politica a ridosso dei manifestanti. La proteste si alimentano l’una con l’altra senza un programma preciso, almeno ad oggi, e trovano il coraggio di affrontare le istituzioni proprio perché sono diverse, eterogenee e del tutto spontanee.

Trovano quindi sbocco nelle strade di Tehran le frustrazioni di una parte della società che non ha un’agenda politica, non inneggia a una nuova rivoluzione, ma che si sente tradita nelle molte aspettative riposte in questo esecutivo e nel programma politico che ha portato l’Iran a siglare con la comunità internazionale un importante accordo.

COSA HA PROVOCATO LE PROTESTE

È ancora presto per condurre un’analisi dettagliata del meccanismo che ha dato avvio a questa fase di proteste in numerose città del Paese.

Sicuramente, tra le scintille è da inserire l’azione delle forze politiche d’opposizione, nell’area conservatrice ed ultraconservatrice, che per ragioni diverse cercano di opporsi alla politica dell’esecutivo promossa da Rohani.

Una parte delle forze di opposizione guarda con sospetto e timore alle aperture del presidente verso la comunità internazionale, nel timore di vedere compromessi i propri interessi economici costruiti su quasi quarant’anni di autoreferenzialità nel quadro dell’embargo internazionale. Un’altra parte è invece sotto accusa da parte del governo – ma non solo quello – per ragioni di corruzione, cercando quindi di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e soprattutto della magistratura. Tra i principali esponenti del sistema politico ultra-conservatore accusati di corruzione e favoreggiamento c’è Mahmood Ahmadinejad, ex presidente dell’Iran su cui grava il peso di un poderoso scandalo finanziario che ha portato all’arresto di numerosi esponenti della politica e della finanza, e che potrebbe nel prossimo futuro coinvolgere lo stesso ex presidente.

Non stupisce quindi come la gran parte delle proteste sia iniziata in aree considerate tradizionalmente vicine ad Ahmadinejad, per poi dilagare in buona parte delle città di provincia del nord del Paese.

Le provocazioni di questa parte del sistema politico hanno quindi alimentato il clima di sfiducia dell’opinione pubblica, che ha quindi preso la strada della protesta pubblica assommando le istanze del malcontento a quelle della politica vera e propria, determinando un insieme di proteste molto diverse l’una dall’altra, sebbene alla fine raccordate dal comune sentimento di condanna verso il malgoverno, la corruzione e la mala gestione delle finanze pubbliche.

Questo calcolo politico è tuttavia un grave azzardo anche per gli ultraconservatori. Le proteste contro l’esecutivo di Rohani non risparmiano infatti le frange dell’opposizione, e la dinamica innescata potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang per Ahamadinejad e le forze del sistema ultra-conservatore.

CHI ALIMENTA L’IDEA DI RIVOLUZIONE

Non è mancata la speculazione nell’interpretazione dei fenomeni di piazza iraniani. Un buon numero di media stranieri si è lanciato in improbabili speculazioni circa la natura della protesta e la sua possibile evoluzione, lasciando trasparire l’immagine di un meccanismo ben più articolato rispetto a quello che in realtà occupa le strade di alcune città iraniane in questi giorni.

Il gruppo di opposizione del MEK cerca impropriamente di far suoi i filmati che arrivano dal Paese, incitando alla rivolta soprattutto con messaggi scritti in arabo (diretti quindi alle minoranze), fornendo ai media l’immagine di una protesta di dimensioni ben superiori a quelle reali.

Il presidente Trump twitta “il mondo vi guarda”, facendo riferimento ai diritti umani e trascurando del tutto la natura sociale ed economica della protesta, nell’intento di farla apparire come caratterizzata da una matrice politica.

Molti altri si lanciano in improbabili comparazioni con le proteste del 2009 all’indomani delle elezioni presidenziali, tracciando correlazioni con l’onda verde e attribuendo ai fenomeni attuali una dimensione politica che invece – almeno ad oggi – manca del tutto.

Sarà interessante osservare con attenzione l’evoluzione delle dinamiche di piazza, per comprendere come e se i fenomeni che hanno dato vita alla proteste potranno evolvere in una chiave unitaria, se saranno capaci di generare una leadership condivisa – assente in questo momento – e soprattutto innescare processi di trasformazione politica.

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