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Istruzione. Il problema gravissimo della dispersione e abbandono scolastico

scuola

La dispersione scolastica è ancora un problema enorme per i nostri giovani. Il rapporto Miur di gennaio “Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa”, ha fotografato la situazione – evidentemente inascoltato leggendo i programmi di tutte le forze politiche – con l’obiettivo di proporre alle forze politiche e sociali un’azione sinergica per superare le incoerenze tra misure progettate e interventi attuati e di dirigere verso l’obiettivo risorse pubbliche e private.

L’azione di “unità nazionale” dovrebbe portare a contenere al di sotto del 10% in tutte le aree del Paese i tassi di abbandono dei percorsi di istruzione e formazione (pari al 13,8% nel 2016), e ciò è possibile solo mettendo in campo nuove politiche di contrasto, modulate attraverso l’attività di una rete nazionale di esperti coordinata dal governo.

Il documento analizza le cause del fenomeno del fallimento formativo, che si manifestano in forme diverse: abbandono vero e proprio, assenteismo, uscita precoce dal sistema formativo, deficit delle competenze di base per un esercizio pieno del diritto di cittadinanza. La fonte di riferimento è l’indagine triennale che l’Ocse svolge nell’ambito del Programme for International Students Assessment (Pisa), giunto alla settima edizione su più di 80 Paesi; essa misura l’insieme di conoscenze e competenze necessarie per la piena partecipazione alla società contemporanea raggiunto degli studenti di 15 anni, ossia da quella classe demografica prossima a completare il ciclo scolastico obbligatorio.

La valutazione è su ambiti di competenza considerati fondamentali (literacy scientifica: abilità a confrontarsi con questioni/idee di tipo scientifico; literacy di lettura: capacità di comprendere e usare testi scritti per raggiungere obiettivi e sviluppare il proprio potenziale; literacy matematica: capacità di usare e interpretare la matematica per comprendere, descrivere e spiegare fenomeni), e in domini innovativi: l’analisi del 2015, l’ultima, ha inserito la capacità di problem solving collaborativo.

Dalle serie storiche dei dati Pisa e dagli ultimi dati disponibili, richiamati nel rapporto Miur 2018, emerge la debolezza degli studenti italiani nelle cosiddette competenze irrinunciabili, per lo più correlata all’origine familiare e territoriale, a condizioni di marginalità sociale/culturale delle famiglie di appartenenza. La prevedibile correlazione tra condizioni socio-economiche di partenza e rischio di non raggiungere una sufficiente misura di competenze indispensabili all’esercizio pieno del diritto di cittadinanza è confermata dalla rilevazione.

I dati Pisa 2015 mostrano che un terzo degli studenti quindicenni italiani non raggiunge un livello di competenze sufficiente in almeno due dei tre ambiti fondamentali: uno studente su quattro non raggiunge le competenze minime in matematica (fare calcoli semplici, elaborare dati e utilizzare formule matematiche elementari); uno studente su cinque ha difficoltà ad analizzare e comprendere testi scritti.

In termini assoluti, e con i limiti derivanti dalla difficoltà di rilevare anche i passaggi da scuola a scuola o dalla scuola alla formazione professionale, il Miur calcola in 23.000 gli alunni a rischio dispersione nella scuola secondaria di I grado e in 112.000 quelli nella scuola secondaria di II grado. I dati sono più consistenti rispetto alle rilevazioni precedenti e molto allarmanti: è preoccupante l’abbandono della scuola durante il primo ciclo dell’istruzione obbligatoria, più consistente al Sud (soprattutto in Sicilia e Campania), fra i maschi, più spesso di origine straniera (3,3 gli stranieri e 0,6 degli italiani) e fra i ripetenti. Solo in alcune aree del Paese la scuola e gli interventi sociali ottengono risultati apprezzabili nel sostenere gli studenti ad affrancarsi dalle condizioni di partenza: nelle regioni del Nord gli studenti che non raggiungono le competenze minime sono il 26%, al Sud il 44%. I dati peggiorano significativamente se si tratta di stranieri, soprattutto di prima generazione.

Questa fotografia è confermata dalle periodiche indagini Invalsi condotte su altri gradi e ordini di studio. Il fenomeno del fallimento formativo ha conseguenze che impattano non soltanto sulle future opportunità professionali individuali, ponendo le premesse della marginalità sociale, di una minore aspettativa di vita, di un più elevato maggiore rischio sanitario e di tossicodipendenza, sul piano dei singoli individui. L’abbandono si trasforma in un costo per il Paese in termini di minore crescita economica e coesione territoriale e sociale, e più elevata spesa pubblica per sanità, sicurezza e spesa sociale.

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