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Berlusconi, il centrodestra e la leadership misteriosa

La discussione interna al centrodestra non sembra destinata a finire. Il botta e risposta si è consumato, infatti, anche oggi, all’indomani dell’importante intervento di Silvio Berlusconi a Porta a Porta. Il Cavaliere, da par suo, è apparso oggettivamente in forma e ha esibito con efficacia l’idea unitaria della coalizione vincente, naturalmente a trazione Forza Italia.

Al di là delle molte promesse enfatiche, che un po’ tutti stanno facendo, tipiche della campagna elettorale, il tema che veramente sembra dominare il trend in ascesa del centrodestra è il programma molto chiaro, articolato sostanzialmente attorno a flat tax e sicurezza, al quale si aggiunge la discontinuità dell’attinente progetto politico rispetto all’uscente esperienza di governo. Quest’ultimo dato, mai irrilevante in Italia, sta spingendo chiaramente gli elettori indecisi a privilegiare l’alternativa alla continuità, cioè il centrodestra al centrosinistra.

Dopodiché, però, restano i profondi contrasti interni al blocco moderato, specialmente tra i primi due azionisti della coalizione, ossia Lega e Forza Italia. Anche stamani Matteo Salvini non ha perso l’occasione di smarcarsi non tanto dalle linee guida del programma, ma dall’altro grande nodo irrisolto della compagine: la questione della leadership.

Il segretario della Lega, sentendosi prossimo a Berlusconi nei sondaggi, sostiene il dogma che il partito maggioritario del centrodestra dovrà avere in serbo anche il ruolo di premier. Il dilemma sembra tuttavia essere risolto troppo semplicisticamente. In tanto perché qui in gioco non vi è l’idea esclusiva di una guida legittimata dal voto, ma quello di un timoniere cauto e compassato che possa tenere congiunti tutti gli alleati, andando a Palazzo Chigi con credenziali di ragionevolezza e affidabilità internazionale.

Inoltre, se anche il Carroccio fosse il primo partito, il fatto che Berlusconi non possa avere incarichi pubblici implica paradossalmente l’esigenza di maggiori garanzie proprio per Berlusconi stesso e i suoi. Da non trascurarsi, in aggiunta, Noi per l’Italia, un partito che sta portando avanti con coraggio e intelligenza una propria interpretazione moderata del programma unitario, la quale in opposizione a Salvini che ne dà una versione estrema, poco si sentirebbe rappresentato da un pilota eccedente dal punto di vista soggettivo.

Sebbene, quindi, non vi siano contraddizioni impossibili tra le parti in gioco, è altresì chiaro che molto più delle differenze di ciascuno sarà rilevante, alla fin fine, produrre una sintesi, garantita esattamente dalla famigerata leadership per ora mancante e avvolta nell’oscurità.

Abilmente anche ieri sera Berlusconi ha fatto il nome di Antonio Tajani come autorevole risorsa politica, sebbene si tenga nel cilindro una seconda misteriosa e prestigiosa personalità. Guardando al di fuori di improbabili retroscena è opportuno fare due considerazioni di carattere generale.

Se una maggioranza di centrodestra vi sarà, questa non potrà essere certamente di tipo bulgaro. Sarebbe utile perciò che l’eventuale governo godesse di una fiducia più estesa rispetto ai numeri necessari per esistere. La logica parlamentare richiede in ogni caso mediazione, duttilità, prudenza, insieme a decisione, coerenza ed esperienza.

Per questa ragione un’autorità indiscussa come Gianni Letta, notoriamente diplomatica ma fedele a Berlusconi, rappresenta il profilo ideale non solo per tenere allacciata la coalizione ma anche per garantire la longevità di una nuova stagione di riforme, assicurando certamente la mediazione necessaria, all’interno e all’esterno dell’alleanza. Al contempo sarebbe molto auspicabile che altri politici di qualità, non obbligatoriamente appartenenti strettamente alla cerchia dei big di primo piano, trovassero uno spazio: ad esempio il leghista Giancarlo Giorgetti ma anche il difficile e ormai apparentemente defilato Roberto Maroni.

Il programma del centrodestra è buono, la vittoria possibile, ma è essenziale che il processo sia condotto dalla razionalità di una leadership di qualità e dalla moderazione matura di un gruppo dirigente che voglia veramente attuare nel concreto le proprie idee. Si tratta, insomma, di vincere le elezioni, portando a casa un bottino prelibato che sia poi attuabile nella realtà per il bene degli italiani.

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