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La gestione del debito pubblico e la crisi dei contratti derivati

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Gli ultimi dati sul fenomeno dei contratti derivati a copertura del debito pubblico italiano sono ormai arrivati, sempre più spesso, all’onore delle cronache. Nel solo 2016 i contratti derivati sui titoli del debito valgono un titolo nozionale di 4,25 miliardi, ma la cifra aumenta di molto se si sommano i flussi netti di interessi sui derivati con il debito contabile. Se, infatti, si compone questa somma, tra il 2013 e il 2016 l’effetto cumulativo dei derivati sul debito pubblico arriva a valere ben 24 miliardi di Euro, con 13,7 miliardi per i soli esborsi, cifra che sale poi fino a 32 mld. se si calcolano in questa serie anche i dati del 2011. Ma cosa sono davvero i derivati? Sono, detto brutalmente, dei contratti che derivano da altri.
In linea di massima, i contratti derivati sono soggetti soprattutto a una previsione sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo o interesse.

I contratti derivati possono, poi, durare ancora di più del tempo previsto concordato all’inizio. Solo noi, in Europa, perdiamo così tanto con i contratti derivati per i titoli del nostro debito pubblico. La Germania ha speso solo 852 milioni, per i suoi derivati sui titoli del debito pubblico, niente al confronto dell’Italia, mentre l’Olanda, dai contratti a copertura dei rischi del loro debito statale, ci ha addirittura guadagnato 6 miliardi, mentre la Francia ha perso recentemente solo 54 milioni. Tutto questo accade perché il nostro portafoglio di titoli derivati è composto soprattutto di payer swap, sottoscritti spesso molto tempo fa. Il payer swap è poi un tipo di contratto derivato che permette al compratore, senza obblighi specifici, di comprare ad una certa cifra un valore futuro. In un tale payer swap, come è facilmente intuibile, il valore di questo derivato sale quando salgono i tassi di interesse e viceversa.

Come risolvere, a questo punto, la crisi dei derivati? Che sono, evidentemente, uno strumento politico mascherato da una parvenza, molto labile, di “oggettività” finanziaria, rivestita da una complessa e spesso ridondante matematica?

Intanto, occorrerà ridurre, per numero ed entità, oltre finalmente a regolamentare, tutti i contratti OTC, Over the Counter. Si tratta, come è noto, di titoli che vengono scambiati e trattati tra gli operatori, senza una qualche verificabile notizia o oscillazione pubblica di un mercato ad hoc. Poi, occorre costituire, prima possibile, una struttura interbancaria il clearing centralizzato. Un modo, questo, per evitare che le infezioni derivanti dalla insolvibilità di uno si ripercuotano su tutti gli operatori, evitando allora anche le tante e inutili psicosi che, spesso, affliggono i mercati finanziari.

Non stiamo poi qui a discutere tutte le questioni legali che riguardano l’emissione e la gestione di un qualsiasi contratto derivato, analisi che ci porterebbe molto lontano ma che possiamo riassumere in una sola osservazione: le normative pubbliche e gli apparati sanzionatori non riescono a tener dietro alla composizione, alle variazioni formali e alle tipologie attuali di tutti i contratti derivati. Poi, come sanzionare davvero, in modo credibile, le banche d’affari che non rispettino i contratti? Spesso, le sanzioni comminate dai tribunali sono poca cosa rispetto ai guadagni precedentemente realizzati proprio con la rottura de facto dei contratti da parte delle banche. I mercati finanziari, lo ricordiamo, sono composti, come diceva proprio Federico Caffè, il maestro di Mario Draghi, unicamente di sciacalli, quegli animali che divorano in gruppo le prede già morte; e non mai di lupi, che uccidono direttamente le vittime prima di mangiarle. Ma, in fondo, a cosa servono davvero i derivati? In primo luogo, i benefici dei derivati sono quelli causati da una migliore gestione del rischio finanziario. In secondo luogo, i derivati generano prezzi pubblicamente osservabili che contengono i prezzi reali, così dice la dottrina classica, prezzi reali attuali e futuri.

Oggi, il valore dei derivati sottoscritti dai comuni italiani ammonta, in totale, a duecento miliardi di Euro. Altre fonti ci dicono che il totale dei debiti in derivati tra comuni, province e, soprattutto regioni, vada calcolato per un totale di 160 miliardi. Di rilievo geopolitico e strategico non certo trascurabile, è sempre molto difficile. Ciò è accaduto anche perché si sono impennati, a partire dagli anni ’90, i tassi della Cassa Depositi e Prestiti e quindi le alcinesche seduzioni delle banche internazionali, subito precipitatesi sul ricco mercato degli enti pubblici territoriali, sono state irresistibili. Ecco, se andranno in default gli enti locali, insieme ad una difficile gestione dei derivati dello Stato Centrale, sarà davvero il crack della finanza pubblica.

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