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Cyber sorveglianza, quali sono i Paesi Ue che vogliono porre un freno alle esportazioni

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Undici Paesi dell’Unione europea, Italia compresa, credono sia giunto il tempo di imporre maggiori restrizioni alle esportazioni delle società che vendono tecnologie di sorveglianza (come ad esempio la nota e tricolore Hacking Team). Ma intendono farlo preservando la loro autonomia. È quanto emerge da un documento di lavoro riservato ottenuto e diffuso da EurActiv.

I PAESI SOSTENITORI

Oltre che da Roma, l’iniziativa, guidata dalla Germania, è sostenuta da Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Per realizzarla, i diplomatici degli 11 Paesi hanno firmato un documento di sei pagine – datato 29 gennaio – che condivide il piano della Commissione per creare “efficaci controlli Ue sulla sorveglianza informatica per la protezione dei diritti umani”.

LE NORME SUL DUAL USE

Gli Stati membri stanno negoziando la propria posizione su una proposta della Commissione dal 2016 per rivedere le norme Ue in materia di esportazioni delle cosiddette tecnologie dual use, che devono affrontare ulteriori restrizioni commerciali perché possono essere utilizzate per scopi sia civili sia militari. A spingere Berlaymont a prendere provvedimenti sono stati alcuni casi che hanno messo in luce come alcune compagnie del Vecchio Continente avessero venduto i loro software – dalle capacità altamente invasive – anche a governi illiberali che li avevano utilizzati per controllare il dissenso interno.

SCELTE AUTONOME

In ogni caso, i diplomatici degli 11 Paesi citati rimarcano l’autonomia di ogni Stato nel decidere o meno se concedere l’autorizzazione a vendere in determinati casi. Il documento, infatti, critica la proposta della Commissione di obbligare gli Stati membri a consultarsi a vicenda prima di approvare l’esportazione da parte di un’azienda di qualsiasi prodotto che possa danneggiare i diritti umani.
Ciò, secondo i governi, creerebbe “un onere amministrativo superfluo” e bloccherebbe la scelta delle singole capitali. Per questo, afferma il documento, sarebbe meglio che gli Stati membri avessero il diritto “di valutare il caso ed esercitare la loro autorità di controllo delle esportazioni”.

PRESENTE E FUTURO

Negli ambienti europei, sottolinea l’inchiesta, il documento è percepito come una svolta. Bruxelles, si pone in evidenza, ha faticato e fatica ancora a convincere gli Stati membri sulla necessità di rivedere le norme sul dual use. Tuttavia, l’adesione di capitali importanti come Berlino, Parigi e Roma potrebbe portare a una maggiore condivisione di intenti anche da parte dei Paesi dimostratisi finora scettici. Alcuni Stati, prima contrari, hanno già cambiato idea. L’iter è comunque ancora lungo e tortuoso, e potrebbe concludersi in tempi tutt’altro che brevi.

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