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Dopo le Olimpiadi, inizia la vera partita della pace tra le due Coree

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Dopo l’armistizio dovuto alle appena concluse olimpiadi invernali, è iniziata la vera partita che potrebbe portare ad un trattato di pace tra le due Coree, ed un’eventuale unificazione. Oppure una ancora lunga frattura. Tra popolazioni di ceppo uralico-siberiano che – come descritto il 5 gennaio su questa testata – si sono insediate nella temperata penisola verso il 400-500 dopo Cristo ed hanno la stessa lingua e cultura, anche se leggermente modificate dalla metà degli cinquanta perché, anche nel linguaggio, la Repubblica del Sud ha importato neologismi dal mondo anglosassone. La trattativa è più difficile per il Presidente della Repubblica del Sud Moon-Jae-in che per il “compagno” piccolo grande leader Kim-Jong-Un della Repubblica Popolare del Nord. Non tanto perché Moon risponde ad un Parlamento Democraticamente eletto, ma perché ha a che fare con un “Convitato di Pietra”, gli Stati Uniti guidati da Donald Trump. Kim, da parte sua, è capo di un regime autocratico (e deve solo convincere le fazioni del Palazzo) e non ha quasi più legami forti con la Russia (sostenitore del Nord durante la guerra di Corea degli anni cinquanta), la Cina, alle prese con numerosi problemi interni ed internazionali, sarebbe ben lieta di liberarsi delle “noie coreane”.

Per Moon la strada è quella di un “gioco a più livelli”. Di che si tratta? All’inizio degli Anni Ottanta, furono un libro ed alcuni saggi di Pier Carlo Padoan scritti a quattro mani con Paolo Guerrieri, entrambi professori alla Università Sapienza di Roma a portare in Europa questo approccio alla “teoria dei giochi” applicata alla politica; allora stava facendo i primi passi negli Usa. Padoan e Guerrieri ne divennero “capi scuola”. In sintesi, in “un gioco a più livelli” ciascuno dei partecipanti deve massimizzare obiettivi di “reputazione” e di “popolarità” differenti (e in certi casi divergenti) di fronte alle altre parti in causa. Tutti devono mantenere una buona reputazione rispetto agli altri soci dell’eurozona e presentarsi come convinti assertori della moneta unica. In termini di popolarità, però, ciascun partner risponde alla propria opinione pubblica. La teoria indica in sistemi di equazioni gli strumenti per trovare la soluzione.

Ci sono state indubbiamente aperture, principalmente dal Nord verso il Sud, durante le olimpiadi invernali come l’invio della potentissima sorella del leader di Pyongyang alla cerimonia iniziale, di atleti fedelissimi al regine ed anche di cheerleader alla parata iniziale, nonché di autorità di peso alle cerimonie conclusive. Queste aperture sono state prese bene da Moon, in particolare la proposta di un vertice tra le due Coree da tenersi nella capitale della Repubblica Popolare, Pyongyang. Tanto il Sud quanto il Nord intendono ridurre le tensioni tra i due Stati le cui popolazioni hanno avuto per almeno millecinquecento anni una storia comune. Washington non ha mostrato alcun entusiasmo per anche un solo modesto ravvicinamento. Il Vice Presidente degli Stati Uniti, Michael Pence, non ha rivolto la parola ai nord-coreani ed ha lasciato le olimpiadi appena possibile. La posizione degli Stati Uniti è chiarissima: prima di un appeasement la Repubblica Popolare deve distruggere il proprio arsenale nucleare; sino ad allora, le sanzioni non saranno tolte, ma accentuate.

Nella partita con Kim, Moon utilizza la carta della “popolarità”; un ravvicinamento tra le due Repubbliche è popolare sia al Sud sia al Nord (specialmente se corredato da un programma di aiuti. Con Pence e soprattutto Trump, utilizza la carta della “reputazione”: è stato alleato fedele per circa settanta anni, ospita circa quarantamila americani nel territorio della Repubblica, può essere l’elemento chiave nel portare ordine e pace nella regione, con la gioia anche del Giappone. Vorrebbe porsi come mediatore tra la Corea del Nord e gli Usa dato che con i “fratelli separati” oltre il 38simo parallelo ha una lunga storia in comune, nonché la cultura confuciana (resistente anche al marxismo). Secondo informazioni da Seul, ciò che vorrebbe proporre è un arresto del programma nucleare in cambio di cooperazione. Ciò andrebbe bene ai giapponesi (e farebbe esultare i cinesi) ma è un anatema per l’attuale governo americano che richiede la distruzione dell’armamentario esistente come primo passo per intavolare discussioni. E che non vuole alcun mediatore nei propri rapporti con Pyongyang.

Anche Kim utilizza la carta della “popolarità” con Moon e quella della “reputazione” con la Cina (peraltro poco interessata ad avere un “satellite” da dovere nutrire). La partita potrebbe durare a lungo. Lo schema illustrato può aiutare a comprendere la varie mosse.

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