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Cosa cambia nell’Intelligence con l’intelligenza artificiale

cina, intelligenza artificiale

Lo ha detto chiaramente anche Vladimir Putin, il 4 settembre del 2017: “la nazione che sarà leader nel settore dell’Intelligenza Artificiale sarà la dominatrice del mondo”. Ogni trasformazione del paradigma scientifico, secondo il vecchio ma ancor utile modello epistemologico di Thomas Kuhn, più che l’arrivo di nuove scoperte materiali, trasforma radicalmente anche le visioni del mondo e quindi gli equilibri strategici. Che cos’è allora l’Intelligenza Artificiale, prima di tutto? Essa consiste di una serie di strumenti matematici, ma anche di psicologia, tecnologia elettronica e di informatica, tramite la quale si insegna ad una macchina a pensare come se fosse un essere umano, ma con la rapidità e la sicurezza del computer. La macchina automatica deve rappresentare la conoscenza dell’uomo, ovvero manifestarla, permettendo ad un operatore esterno di modificare il processo e di comprenderne, all’interno del linguaggio naturale, i risultati. In pratica, le macchine AI imitano creativamente (ovvero, si autocorreggono in modo non ripetitivo) la visione percettiva, il riconoscimento e la rielaborazione del linguaggio, perfino il decision-making, ma solo quando sono sul tavolo tutti i dati necessari per compierlo. Cosa che accade di rado, come è facile immaginare, in un sistema complesso e ad alto tasso di variazione nel tempo e nello spazio, come è appunto lo scontro bellico.

Pensiamo qui, per esempio, alle sole informazioni di intelligence riservate agli Stati Maggiori, che naturalmente nessuno fa mai “girare” in una qualsiasi macchina. In primo luogo, quindi, in AI si tratta di far imitare alla macchina il processo del ragionamento umano, cosa che si ottiene applicando il Test di Alan Turing. Attualmente, in AI, si utilizzano quasi unicamente “macchine ibride”, ovvero sistemi che unificano vari tipi di macchine a stati finiti o discreti e che, soprattutto, elaborano anche scenari probabilistici. Si può poi utilizzare l’Intelligenza Artificiale anche per le questioni di Logistica militare, o per la risoluzione a più variabili dei war games, perfino per l’automazione del combattimento in ambienti misti con uomini e macchine in azione.

Quindi, sarà sempre più probabile il ricorso ad una guerra limitata, se non ci sono vittime umane e se lo scontro è diretto da sistemi automatici evoluti. Ci sarà anche un effetto sulla responsabilità politica, che potrebbe essere scaricata sui sistemi AI e non sui comandanti o sui decisori politici in carne ed ossa. Uno scontro automatico quali effetti politici e strategici avrebbe, quali meccanismi psicologici immediati farebbe scattare nella popolazione? Ma allora chi vince nella guerra, da poco iniziata, per la dominance nelle tecnologie militari e di intelligence di tipo AI?
Per ora, certamente la Cina.

Il concorso per il migliore sistema di riconoscimento facciale è stato infatti vinto, negli Usa e nel novembre 2017, dalla Yitu Tech cinese. La sfida era quella di riconoscere il maggior numero di passeggeri casualmente incontrati tra le rampe e le sale di un aeroporto civile. Il governo cinese ha poi già approvato un progetto denominato “Artificial Intelligence 2.0”, che ha specifiche applicazioni sia nell’economia che nelle strutture militari e di intelligence. Le Forze Armate di Pechino stanno oggi elaborando un progetto unificato in AI 2.0, una iniziativa che riguarda proprio il rapporto tra applicazioni civili e militari della AI. È questo, lo abbiamo già notato, il punto strategico debole della programmazione militare dell’Intelligenza Artificiale, perché verifica una forte concorrenza tra mercato e organizzazioni statuali, almeno nel mondo occidentale. Per i Servizi Usa, infatti, oggi la linea da seguire nell’ambito dell’automazione intelligente della guerra è quella di applicare le nuove tecnologie per arricchire le informazioni già presenti sul tavolo del Presidente.

La “fusione” tra mercato e Stato nel settore dell’AI, in Cina, è direttamente regolata dalla Commissione per lo Sviluppo dell’Integrazione Militare e Civile, presieduta personalmente, ed è tutto dire, da Xi Jinping. Le Forze Armate cinesi si regolano, nell’ambito della nuova evoluzione strategica della AI, con il criterio della “costruzione condivisa, applicazione condivisa, uso condiviso” con i privati; almeno per tutte le innovazioni nella programmazione e gestione automatica delle informazioni (e delle azioni) sul campo di battaglia e nell’area intelligence. L’AI cinese 2.0 mette allora insieme la ricerca robotica, i sistemi militari senza pilota o privi di altro personale, la nuova scienza del military brain. Una nuova branca teorico-pratica che riguarda perfino, detto per inciso, il controllo mentale e remoto, tramite applicazioni sull’uomo, delle macchine.

È facile allora immaginare le nuove attività AI nel mondo dei Servizi: raccolta dati infinitamente più ampia e rapida, e inoltre strutturata e semielaborata, predisposizione di sistemi di contrasto informativo automatici, immissione nei sistemi mediatici elettronici e delle reti a disposizione dei Decisori di dati “anonimi” che modificano la percezione del campo di battaglia e dell’intera società del nemico. Infine, la copertura sinergica dei dati civili e militari del Paese che abbia raggiunto la dominance nelle tecnologie AI. Ogni tecnologia nuova, in ambito AI di tipo militare, viene allora protetta e, quindi, presuppone un campo di battaglia, civile, militare o ibrido, in cui tutte le operazioni di chi possiede lo strumento evoluto vanno, sempre, a segno, con il minimo utilizzo di uomini e con la massima segretezza.

Sarebbe bene che l’Ue pensasse a questi nuovi scenari ma, oggi, immaginare che l’Unione Europea pensi è già una ipotesi di scuola. Pechino, inoltre, ha creato un nuovo Istituto di Ricerca sull’argomento AI e sulle tecnologie ad essa riferite, collegato alla Commissione Militare Centrale e alle Forze Armate. Liu Ghuozhi, il direttore di tale struttura, ama ripetere che “chi non disgrega l’avversario sarà disgregato”. Quindi per i cinesi, oggi, “la tecnologia determina la tattica” e la PLA, l’Armata di Liberazione del Popolo, intende sviluppare anche sistemi di appoggio che utilizzino l’Intelligenza Artificiale per il supporto al decision making strategico.

E la Federazione Russa, infine, cosa sta facendo nel campo della modernizzazione delle sue FF.AA. con il mezzo della Intelligenza Artificiale? Molte cose.
Mosca sta studiando con attenzione, in primo luogo, i veicoli terrestri senza equipaggio, come l’Uran-9, il Nerekhta, il Vir. Sono tutti carri corazzati che possono ospitare missili anticarro e cannoni di medio calibro. Sin dal 2010, la Russia ha poi privilegiato lo sviluppo delle sue FF. AA. In relazione a quello che la dottrina militare di Mosca definisce come “confronto informativo”. Ovvero, si teorizza, nel mondo militare russo, l’idea che sia centrale una superiorità informativa sia in pace che in guerra. Superiorità nei confronti della propria popolazione, da proteggere dalla dezinformatsjia altrui; e superiorità rispetto alla propaganda del nemico nei propri Paesi, azione informativa che va dominata, per far sì che la pubblica opinione nemica un universo ideologico favorevole agli interessi russi. Tale “confronto” psico-informativo, che ha sempre supporti AI, presuppone strumenti diplomatici, economici, ovviamente militari, politici, culturali, religiosi. E si dispiega soprattutto tramite due aree di intervento: quella tecnica- informativa, mediatica e l’altra, più tradizionalmente connessa alla guerra psicologica.

L’Ue, lo ripetiamo, segue a ruota l’America per quanto riguarda i droni e la loro informatica e sta poi iniziando a finanziare alcuni progetti, anche di rilievo militare, in ambito AI 2.0. Ma si tratta comunque di obiettivi tecnologici lontani nel tempo e, in ogni caso, malgrado il sogno, o il mito, di una FF.AA. europea, l’intelligence, le dottrine evolute sul campo di battaglia e le reti neurali informative sono, quando ci sono, strettamente limitate al livello nazionale. Con i risultati che si possono facilmente immaginare, soprattutto in carenza, intellettuale e tecnologica, di una dottrina europea sulle “guerre future”.

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