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La Germania e le 28 ore settimanali. Forse la vera forza della “sciopero” si realizza quando tutto va bene!

Germania, febbraio 2018. La cronaca narra di un’economia decisamente florida da qualche anno, il PIL cresciuto del 2,2% nel 2017, la disoccupazione al di sotto del 4%, aziende che staccano dividenti milionari. Un settore in particolare sembra essere trainante più di altri, ovvero quello siderurgico, metalmeccanico ed elettrico. Tutto bene, diremmo nel nostro Paese! Ma non è così in Germania.

Il Sindacato scende in piazza e lo fa iniziando le trattative per uno dei più grandi settori produttivi del Paese che aveva realizzato nell’anno una crescita dei dividenti di circa il 10-15%. Il sindacato inizia la trattativa per ottenere aumenti salariali e flessibilità di orario. Una lotta a suon di scioperi di 24 ore che hanno colpito in modo deciso anche i colossi del settore automobilistico .

Risultato? Quello che il Presidente della IG Metall, uno dei più potenti sindacati tedeschi, definisce un accordo che “rende giustizia alla straordinaria posizione economica del settore”; quello che il Sindacato ha definito “la lotta più decisiva dal 1984”. Risultato: aumenti retributivi del 4,3% e possibilità di ridurre la settimana lavorativa a 28 ore all’interno di determinati periodi, sono i punti salienti dell’accordo.

Sembra che il momento buono attraversato dall’economia del settore abbia generato la volontà di intervenire con un “conflitto positivo e propositivo” cercando oltre all’adeguamento retributivo anche l’inserimento di una flessibilità a parti invertite, richieste che hanno trovato accoglimento proprio grazie al momento particolarmente favorevole. Ah, volevo ricordare che la “settimana corta” non è pagata come fosse piena. Potrebbe sembrare una precisazione del tutto inutile, forse in Germania, ma non nel nostro Paese. Questa vicenda fa riflettere sulla nostra situazione ed impone alcune considerazioni in ordine agli assetti sindacali, politici e sociali del nostro Paese.

Partirei anzitutto dal concetto di “sciopero quando tutto va bene”. Noi siamo abituati da tempo all’idea che non si possa scioperare in questo modo, con tale forza e determinazione quando in realtà non ci sono problemi. Scioperiamo poiché c’è qualcosa che va male, perché c’è crisi ed il risultato non può che essere quello di “aggravare” una situazione già di per sé critica. Utilità? Io non riesco ad intravederla ed apprezzarla.

Ci sono Paesi  – come la Germania – che le crisi, i problemi li affrontano stringendosi attorno al valore comune, valore che nel momento negativo è rappresentato dalle imprese da salvaguardare appunto nell’interesse collettivo. Ed allora niente azioni tese a creare maggior danno o fallimento!
Le energie vanno tutte nella salvaguardia di ciò che è mezzo, strumento di benessere sociale; i conti li facciamo dopo, quando tutto funziona, e si deve discutere ancora, ma questa volta di opportunità, di crescita, di benessere. Ecco perché il Presidente del Sindacato per cui si discute dichiara: “Per la prima volta però i lavoratori otterranno la possibilità di investire più tempo per le loro famiglie, i loro cari, il loro tempo libero”.

Tutto ciò accade non per caso. Tutto ciò accade non solo perché adesso “le cose vanno bene”. Tutto ciò accade e può accadere perché di fronte a problemi come quello del “lavoro” non vi è ideologia, ma un movimento trasversale volto a trovare soluzioni, opportunità e crescita a prescindere. Tutto ciò accade perché vi è un sistema di relazioni industriali che si fonda su “verità fattuali”, non slogan o battaglie di pseudo principi che non fanno altro che ritardare il cammino verso la soluzione dei problemi. Tutto ciò accade perché siamo in presenza di parti sociali ed istituzioni competenti che molto probabilmente conoscono a fondo e non confondono i principi basilari delle materie che vanno a trattare.

Tutto ciò accade. Mentre da Noi alla vigilia delle elezioni politiche, con un Paese afflitto da gravissimi problemi afferenti il mondo del lavoro, con il problema della disoccupazione generale e giovanile giunta a percentuali altissime e strutturali, con le aziende in crisi sempre più numerose, l’opinione pubblica si distrae sulla “fake news” dei braccialetti di Amazon!!
Un tema inesistente, un problema che laddove si dovesse manifestare troverebbe un’impalcatura giuridica e normativa senza eguali a protezione dei diritti presuntivamente lesi.

Un tema capace solo di scatenare populismi, ignoranza ed arretratezza culturale. Come concludere questa amara fotografia?  Ahimè con la solita personalissima affermazione: la Germania, nel bene e nel male, è la Germania; l’Italia, nel male, non vuole nemmeno tentare di cambiare.

E adesso ci sarà qualcuno che vorrà applicare le stesse previsioni di quell’accordo anche in Italia, dimenticando i presupposti imprescindibili dai quali esso nasce.

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