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Nuove elezioni vecchi vizi: sul lavoro siamo ancora agli Anni Settanta

Siamo sotto elezioni e come quando inizia l’estate tornano fiumi di parole, articoli che si possono ritrovare sulle testate giornalistiche già a partire dagli anni Settanta. Qualche esempio? Eccoli: “quei 2 milioni di stipendi sotto il minimo”; “una Repubblica fondata sul caporalato”; “la condanna ad un lavoro precario” e così via.

Vi assicuro che il contenuto degli articoli non vale proprio la pena di leggerlo né, tantomeno, citarlo, poiché esso è colmo di errori tecnici, giuridici e fattuali. Ciononostante, mi sorprendo ancora, mi sorprendo che si parli di temi che non sono in alcun modo legati a programmi politici o ai seri dibattiti, ma unicamente diretti ad ottenere un perverso effetto mediatico. Per fare un esempio, se vi sono lavoratori che hanno retribuzioni al di sotto dei minimi contrattuali collettivi, non è un tema legislativo o altro, è solo una questione di controllo circa un “fatto” che è illecito; se esiste ancora il “caporalato” non serve una legge! Il caporalato è illecito.

Ma a cosa servono questi articoli? Veramente siamo ancora in un contesto che non si rende conto del problema “Paese” nel suo complesso? Siamo ancora convinti che ci sia una proposta in grado come un “chirurgo” di risolvere un micro problema, senza curare il malato? La questione del costo di lavoro è strana, da una parte ci si lamenta – a torto – dell’alto costo rispetto all’Europa, dall’altra non si comprende come molti appalti – perlopiù pubblici – si riescano a vincere proponendo un costo del lavoro più basso di ciò che sarebbe ragionevole attendersi. Sarebbe sufficiente dare un’occhiata dall’alto ai cantieri per rendersi conto che qualcosa circa la gestione della “forza lavoro” non funziona. Basterebbe andare a fondo nella gestione di alcune cooperative per ottenere il massimo risultato. Ma tutto ciò non viene fatto!

Ciò è arcinoto a tutti coloro che partecipano in un modo o nell’altro al mondo e mercato del lavoro. Mi sembra che ciclicamente, con gli occhi di un bambino, ne veniamo a conoscenza. È un sistema al quale hanno partecipato tutti gli attori, imprenditori, lavoratori, sindacati, Stato. Un sistema che è evidentemente e forzatamente in collisione con le norme del nostro ordinamento e di quello europeo.Perché non si controlla? Perché le risorse destinate ai controlli non sono adeguate?

Queste sono le vere domande da porsi: perché non c’è la volontà di smantellare questo assetto del “nostro” mercato del lavoro? Personalmente credo che manchi una regia comune, una sorta di principio comune che dovrebbe  essere trasversale sia politicamente che imprenditorialmente e sindacalmente. Parlo della “legalità”, del rispetto di quei valori minimi indiscutibili che non possono e non devono avere colore o parte. Questa “regia comune” dovrebbe condurre alcune azioni a tutela del patrimonio comune e conservarli nel corso dei cambiamenti. Se non si affronta il mondo (non solo del lavoro) in questo modo, che senso ha parlare di disoccupazione, di NEET, di Industria 4.0?

 

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