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Perché il sud e la Sicilia saranno decisivi per l’esito delle elezioni (soprattutto per il centrodestra)

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I sondaggi pubblicati in questi giorni lo affermano chiaramente e quelli riservati che circolano tra le forze politiche lo confermano: l’esito delle elezioni in programma il prossimo 4 marzo sarà determinato in misura rilevante dai risultati che si registreranno nel Sud Italia. Campania, Puglia, Calabria e soprattutto Sicilia saranno con ogni probabilità l’ago della bilancia della prossima consultazione elettorale, da cui passerà in larga parte la possibilità di dare oppure no al Paese un governo più o meno stabile.

La competizione, in questo senso, si gioca in particolare nei collegi uninominali del meridione dove il centrodestra è in vantaggio tallonato dal MoVimento 5 Stelle con il centrosinistra che appare, invece, molto distante. Un quadro valido in buona parte del Mezzogiorno – in pratica ovunque salvo che in Basilicata – e in Sicilia ancora di più, come se si stesse svolgendo una sorta di secondo atto delle elezioni regionali dello scorso ottobre vinte da Nello Musumeci.

Per il momento il centrodestra è davanti ma senza riuscire a prendere il largo sui cinquestelle. Anche perché i leader dei tre principali partiti che compongono la coalizione – Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni – sembrano ad ora aver esaurito la loro spinta propulsiva mentre Noi con l’Italia-Udc sta cercando forsennatamente di raggiungere la quota del 3% che vorrebbe dire accesso diretto in Parlamento. Per vincere in Sicilia e nel Mezzogiorno e, quindi, arrivare ad avere la maggioranza nei due rami del Parlamento – si ragiona nel centrodestra – serve qualcosa in più. La televisione – osservano i ben informati, sondaggi alla mano – non è sufficiente. Occorrerebbe una spinta ulteriore, un’iniziativa in grado di sparigliare le carte. Un ragionamento che applicato al Sud Italia e in particolare alla Sicilia – sostengono in molti – vuol dire soprattutto una cosa: l’impegno personale di Berlusconi, l’unico ritenuto in grado di spostare in maniera rilevante i consensi nell’Isola dove, per ovvie ragioni, Meloni e Salvini non hanno e non possono avere la stessa presa elettorale del Cavaliere.

A tal proposito, lo stato maggiore azzurro – e più in generale di un pezzo non irrilevante del centrodestra – avrebbe chiesto al leader di Forza Italia di presentarsi in Sicilia per un mini tour elettorale. Anche perché – dicono – l’ultima volta, in occasione delle regionali, Berlusconi riuscì in poco tempo a convincere una gran massa di indecisi e a far pendere definitivamente la bilancia a favore di Musumeci. Che, ovviamente, con una visita del Cavaliere sarebbe spronato a fare lui stesso campagna elettorale per il centrodestra, con un possibile effetto moltiplicatore. Le tappe su cui si ragiona sono Palermo e Catania. E lo stesso potrebbe accadere con la Campania, ritenuta però meno decisiva della Sicilia per l’esito complessivo del voto.

Certamente, però, per il centrodestra raggiungere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento appare tutt’altro che semplice, ma l’obiettivo è di avvicinarsi il più possibile a quella quota per poi verificare la possibilità concreta di dare vita comunque a un governo di coalizione. Magari contando sull’apporto parlamentare di un gruppo di deputati e senatori eletti in altre liste. Ad esempio molti ritengono che gli esponenti del MoVimento 5 Stelle espulsi da Luigi Di Maio ma tutt’ora in lista e destinati in alcuni casi a certa elezione potrebbero andare a configurare un primo gruppo di “responsabili” in grado di puntellare un’eventuale maggioranza parlamentare. Sempreché non si dimettano istantaneamente come hanno promesso in questi giorni. D’altro canto sarebbe da verificare il comportamento di esponenti politici dalla solida esperienza centrista ma candidati in questa campagna elettorale con il Pd. E’ il caso ad esempio di Pierferdinando Casini e di Beatrice Lorenzin per restare ai nomi più noti oppure dei siciliani Luca Sammartino e Nicola D’Agostino: cosa farebbero di fronte a un forte richiamo alla responsabilità del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella?

Domande che già ci proiettano al 5 marzo quando – archiviate le elezioni – partiranno i grandi giochi politici per provare a dare un governo al Paese. Una partita che anche Matteo Renzi vorrebbe disputare da protagonista nonostante i sondaggi non siano particolarmente positivi per il centrosinistra. Affatto. Secondo Lorien, il Pd raggiungerebbe al momento il 23,6% – ma ci sono rilevazioni che lo danno un po’ più sotto – mentre gli alleati ballano intorno alle soglie di sbarramento. Da questo punto di vista c’è chi – come Civica Popolare e Insieme – rischia di non superare l’1% e chi – è il caso di + Europa di Emma Bonino – sta provando in tutti i modi a veleggiare verso il 3%. Due scenari che, se si avverassero entrambi, potrebbero far tramontare l’obiettivo di Renzi di rendere il Pd il primo gruppo parlamentare per numero di deputati e senatori. In virtù del Rosatellum, infatti, chi supera l’1% non elegge parlamentari ma porta in dote i suoi consensi ai partiti della coalizione. Ergo, in questo caso, al Pd che anche per questa ragione non può che sperare ardentemente che Civica Popolare e Insieme raggiungano quantomeno questa quota. Dall’altra parte, invece, superare il 3% significa eleggere direttamente i propri parlamentari senza consegnare i consensi ottenuti agli altri partiti della coalizione. Ergo sempre il Pd che, con il superamento della soglia di sbarramento da parte di Bonino, non potrebbe ovviamente fare leva sui voti di +Europa per allargare un po’ i suoi gruppi parlamentari.

Anche in questo senso si devono leggere i tanti distinguo sollevati dalla forza europeista in merito alle scelte e agli annunci del Partito Democratico: mostrarsi come una valida alternativa di centrosinistra a quanti si dichiarino delusi dal Pd. Voti in libera uscita dal Nazareno che in teoria avrebbero potuto riversarsi su Liberi e Uguali di Pietro Grasso ma che alla fine dovrebbero premiare soprattutto la leader radicale. Una circostanza, quest’ultima, che conferma la bontà della scelta di Renzi e dello stato maggiore dem di far entrare nella coalizione gli europeisti guidati da Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi.

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