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Quale ruolo per i cattolici in politica. Le parole di Bassetti e la lezione di Paolo VI

bassetti

All’indomani delle elezioni politiche del 4 marzo, tra i vari temi emersi dal dibattito post elettorale, risalta con nettezza la questione cattolica, meglio dire l’assenza dei cattolici durante l’intera campagna elettorale. Altre volte pure era capitato, soprattutto negli ultimi anni, di assistere a discussioni sul ruolo poco attivo dei cattolici nella vita politica talvolta in modo discreto, altre sottotraccia, raramente in modo eclatante. Invece, questa volta il numero uno dei vescovi italiani e presidente della Cei (Commissione Episcopale italiana) il Cardinale Bassetti senza perifrasi ha reso a tale proposito pubbliche dichiarazioni: il futuro governo lavori per la gente. Un invito alla responsabilità dei governi a lavorare per il bene comune. Un invito esplicito, non formale.

Partecipando alla presentazione del libro “Francesco il ribelle” di padre Enzo Fortunato ha sollecitato chi sarà incaricato di formare il futuro governo dell’Italia di nominare “gente retta che pensa ai poveri”. A chi sarà al governo il cardinale domanda “di essere totalmente al servizio della gente e di ascoltarla” e di “attuare quello che “noi anche nella dottrina sociale della Chiesa chiamiamo il bene comune che è il bene di tutti”. Il card. Bassetti intrattenendosi ancora sul significato del voto del 4 marzo ci ha tenuto a sottolineare di essere soddisfatto per l’alta affluenza alle elezioni che dimostra l’interesse della gente per la politica, concludendo che “ora sarà il presidente della Repubblica, nella sua sapienza e prudenza, a dare le indicazioni più opportune”. Una esplicita dichiarazione di fiducia nei confronti delle più prestigiose istituzioni nazionali.

Le parole del Cardinal Bassetti confermano e rafforzano se vogliamo la storica affermazione: “la politica è la più alta forma di carità”, evocata più volte da Papa Paolo VI, l’assistente della Fuci, il vescovo di Brescia, il cardinale della Lombardia, regione più industrializzata d’Italia, il Capo della Chiesa Cattolica Romana, che proprio in questi giorni è stato confermato nella sua Santità, attraverso gli atti di canonizzazione firmati da Papa Bergoglio. Paolo VI non ebbe il privilegio di vivere una vita comoda, pur provenendo da una famiglia borghese, anzi. Contrasti all’interno della stessa Fuci, all’epoca del suo assistentato, durante gli anni del conflitto col fascismo lo costrinsero a lasciare l’incarico, la difficile scelta di proseguire i lavori del Concilio Vaticano II, inaugurati e portati avanti dal predecessore Giovanni XXIII. Il dolore che dovette patire per l’eccidio di via Fani dove fu rapito Aldo Moro e uccisi gli uomini della scorta, successivamente anche lo statista amico di Paolo VI fu barbaramente trucidato, sono solo alcuni episodi che turbarono profondamente la sua coscienza di cristiano.

Il ruolo di Paolo VI fu decisivo nel portare a compimento, grazie alla sua statura culturale e teologica, una più chiara definizione della Chiesa circa se stessa, il suo rinnovamento interno, una concezione nuova del rapporto tra i cristiani e il dialogo con gli uomini contemporanei. Gli ostacoli furono molti, ma proprio la volontà, la tenacia di Paolo VI gli consentirono di superarli, guardando con visione larga al cambiamento, collocando questo Papa tra i grandi riformatori della Chiesa. Preziosa fu la notevole influenza avuta da Giovanni Battista Montini, nel ruolo di primo piano vissuto all’interno della Chiesa, sull’impegno dei cattolici in politica.

La coincidenza delle parole pronunciate dal Card. Bassetti ad Assisi e il grande evento della canonizzazione di Paolo VI possono essere considerati momenti topici del necessario rilancio dell’impegno dei cattolici in politica e della loro presenza attiva nelle istituzioni.

La presenza dei cattolici in politica nel nostro Paese non è stata mai considerata accidente, né incidente della storia, ma questione naturale, per cui è problematico oggi pensare alla vita politica dell’Italia priva del contributo dei cattolici.

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