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È tutta colpa di Facebook? Ecco come se ne discute fra Europa e Stati Uniti

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Il caso di Cambridge Analityca e tutte le conseguenze sul mondo dei social media che ne sono derivate, hanno messo in luce l’attuale, forte necessità di riflettere sulle modalità con lui la legge può e deve intervenire per regolamentare il web. Judy Dempsey, nonresident senior fellow di Carnegie Europe, sul suo blog Strategic Europe ha chiesto ad una selezione di esperti se i social media siano davvero al di sopra della legge. Le opinioni che ha raccolto restituiscono una visione dello scivoloso e vastissimo terreno rappresentato dai tech titans Google, Apple, Facebook e Amazon. Un terreno che, senza la dovuta attenzione rischia di lasciar spazio all’illegalità vera e propria.

OBIETTIVO DIALOGO

Alcuni, come Cathryn Clüver Ashbrook , direttore esecutivo del progetto sul futuro della diplomazia presso il Belfer Center for Science and International Affairs della Harvard Kennedy School, John Kornblum, consigliere senior presso Noerr LLP ed ex ambasciatore statunitense in Germania e Jonas Parello-Plesner senior fellow presso l’Hudson Institute, sostengono che pur non essendo al di sopra della legge, i social media, galleggiano in quella nuova dimensione dell’informazione pubblica che va oltre quella che è l’attuale normativa, ponendo, di fatto, tutto su una dimensione di incertezza e casualità.

Infatti, le opportunità di espressione e influenza, legali e illegali, offerte dai media digitali sono, come afferma Kornblum, “molto distanti dall’essere esaurite”. “E- continua – come dimostrano i dibattiti politici in Europa e negli Stati Uniti, le difficoltà nel trovare un vocabolario adatto a descrivere ciò che sta accadendo restano molte”. Senza contare che comunque le richieste di nuove leggi, trattati e convenzioni pur generando molte attività continuano a ottenere pochi risultati.

“Ciò che è necessario in questo momento è uno sforzo per definire una serie di obiettivi, principi e valori che dovrebbero guidare il comportamento della rete”, ha anche detto Kornblum, anche se “un progetto di questo tipo richiederebbe anni per essere portato a termine. Ma senza tale dialogo, l’ordine non può mai essere raggiunto. Ne risulterà il caos”, ha concluso.

PRIVACY E CONDIVISIONE SOCIAL

Parello-Plesner, poi, pone un’altra questione fondamentale, ovvero quella di quali siano le leggi materialmente applicabili. Afferma infatti che “c’è sia una questione di dati e privacy che un’altra di regole elettorali e social media. Lo scandalo di Cambridge Analytica mette in luce entrambi”. Ed è, infatti, fondamentale comprendere che alla base dello sfruttamento dei profili Facebook c’è che siamo noi stessi che condividiamo volontariamente le nostre personalità sui social. La risposta starebbe, secondo Parello-Plesner, “nell’applicazione più severa delle norme sulle violazioni autentiche dei dati. E l’Ue – sottolinea – è pronta con il suo nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati (Rnl), che può comminare pesanti ammende”, concludendo con un’altra soluzione, decisamente più individuale: “Condividere di meno”.

IL RUOLO DI FACEBOOK

Più dura è l’opinione di Adam Balcer di WiseEuropa, che sostiene, invece, come, per esempio, il problema di Facebook sia molto più grave di quello che appare dalla vicenda di Cambridge Analytica: “Alcuni giorni fa, gli investigatori dell’Onu hanno affermato che l’uso di Facebook ha svolto un ‘ruolo determinante’ nel fomentare l’odio contro i musulmani rohingya in Myanmar nell’estate del 2017”. Sembra che, infatti, il social network ideato da Zuckerberg, tra le altre cose, non abbia fatto nulla nei confronti di una pagina ufficiale dei militari del Myanmar (con più di 2,5 milioni di seguaci), che i funzionari delle Nazioni Unite per i diritti umani avevano accusato di condurre un “esempio libro di testo di pulizia etnica”. Tra l’altro, secondo Belcer anche “Ashin Wirathu, monaco buddista ultranazionalista e uno dei predicatori dell’odio, utente di Facebook molto attivo, gode di una ‘libertà di parola’ con restrizioni trascurabili da parte dell’azienda”. Questo, secondo Belcer, andrebbe ovviamente ad inficiare sul confine d’azione legale dei social, mettendolo chiaramente in dubbio.

REGOLE O CENSURA?

Il problema successivo che si pone è messo in evidenza dal giornalista Gianni Riotta, ed è se queste nuove rigide leggi non andranno poi a limitare la creatività e l’ingegno innovativo che il web ha invece sollevato. “I ‘dati cattivi’ possono passare attraverso un setaccio di credibilità senza però censuare i ‘dati buoni’”, conclude Riotta.

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