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Cosa rende unico Francesco, il primo Papa gesuita della storia

Di Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis

Dal 13 marzo 2013 a oggi – a proposito di parole, gesti, incontri, nomine, viaggi che hanno avuto prota­gonista Jorge Mario Bergoglio – abbiamo spesso letto o sentito espressioni del tipo «Per la prima volta un Pa­pa…». Ebbene. Questo libro, mettendo in fila gesti inu­suali, intuizioni pionieristiche, scelte inedite di Fran­cesco, propone un ritratto che vuole essere originale, documentato e curioso di questo Papa, il primo gesuita della storia a salire al soglio di Pietro.

Non è semplice rileggere i cinque anni di pontificato di Bergoglio, colui che, per la prima volta nella storia, ha voluto prendere il nome di Francesco. Noi l’abbiamo fatto alla luce della nostra esperienza: Gerolamo Fazzi­ni come consulente di direzione del settimanale «Cre­dere» (rivista decollata il 7 aprile 2013, un mese dopo l’elezione di Bergoglio); Stefano Femminis sulla base della lunga frequentazione che, in veste di giornalista e collaboratore laico, ha avuto e ha con la Compagnia di Gesù (italiana e non solo).

La motivazione di queste pagine sta, in primo luo­go, nella consapevolezza che la frequenza delle novità introdotte da Francesco nell’arco di soli cinque anni è tale che, forse, ci stiamo quasi abituando ad esse, qua­si fossero un dato fisiologico di questo Papa per molti versi fuori dagli schemi, in quanto – parole sue – «pre­so quasi dalla fine del mondo».

Addomesticare, però, la portata dello scossone che Bergoglio, il Papa delle prime volte, sta provando a da­re alla Chiesa cattolica (e non solo) è un pericolo da evitare. Per alcuni, che non hanno digerito la sua ele­zione, «il nuovo che avanza» firmato Francesco sareb­be qualcosa di accidentale, legato alla sua figura, al suo passato (qualcuno direbbe pure ai suoi tic) e non invece a scelte profetiche e lungimiranti. Il rischio, insomma, è di ridurre quasi a un dato folcloristico la mole di ri­forme e salutari provocazioni lanciate, nei suoi primi cinque anni da Papa, dal gesuita argentino che ha volu­to chiamarsi Francesco.

Una seconda tentazione, opposta, consiste nell’e­levare l’attuale Papa al ruolo di innovatore assoluto e solitario. Nel bene e nel male. Purtroppo – lo diciamo con dolore – ci pare sia quanto stanno facendo alcuni giornalisti e, perfino, taluni pastori, quando dicono di Francesco che sia un Papa talmente nuovo da aver stra­volto in modo irreversibile dottrina e tradizione catto­lica. Non è il nostro parere, sia chiaro.

Al tempo stesso, non ci vogliamo attardare in un esercizio stucchevole di “papolatria”, né aggiunger­ci alla schiera dei fan di Bergoglio che, nella foga di sottolineare la discontinuità introdotta da Francesco su molti versanti, ci pare cadano nell’errore di carica­re ogni sua novità di un significato assoluto, quasi che egli voglia strappare con tutto ciò che sta (o stava) pri­ma di lui.

Consideriamo Bergoglio un grande dono di Dio alla sua Chiesa, così come, in forme diverse, ogni Pontefice lo è stato. Siamo convinti, tuttavia, che il rinnovamento autentico della Chiesa non verrà dal potere taumaturgi­co di uno, ma da un faticoso, paziente e costante cam­mino di conversione dell’intero popolo di Dio, dal Papa all’ultimo dei fedeli.

Ciò detto, questo libro non ha la pretesa di traccia­re un bilancio del primo lustro del pontificato di Fran­cesco, operazione che richiederebbe, ovviamente, un puntuale esame della sua produzione magisteriale, scritta e orale. Lasciamo volentieri ad altri, più com­petenti, l’arduo compito. Noi abbiamo preferito, da cro­nisti, raccogliere dati, ripercorrere eventi (noti e meno noti) e rileggere gesti. Con un obiettivo chiaro: tentare di interpretarli e di creare una gerarchia tra le varie “sorprese” regalateci da Francesco, che insieme rap­presentano «l’aria fresca del Sud che ha fatto irruzione nella Chiesa», come ha scritto il teologo argentino Juan Carlos Scannone.

Perché, è evidente, ci sono novità introdotte da Ber­goglio che possiedono un significato ben più profondo di altre che magari hanno suscitato maggiore clamo­re mediatico. Un esempio eloquente. La decisione del Papa di elevare, il 3 giugno 2016, la memoria di san­ta Maria Maddalena al grado di festa è ben più im­portante del gesto, curioso finché si vuole, di esporre sulla porta del suo alloggio un cartello con la scritta «Vietato lamentarsi»: eppure quest’ultimo fatto ha ri­cevuto un’attenzione mediatica decisamente superiore all’altro.

Nel rileggere l’operato di Bergoglio nei primi cinque anni di pontificato ci siamo fatti aiutare da esperti che del Papa argentino sono acuti osservatori. Li ringra­ziamo pubblicamente e fin da subito del loro prezioso apporto.

La conclusione cui siamo pervenuti è duplice. Fran­cesco ha inaugurato una serie di novità molto signifi­cative. Ha innescato processi, di cui forse nemmeno lui vedrà pienamente l’esito finale. Ha prodotto «una scos­sa di ritorno alla Chiesa delle origini, salutare», come l’ha chiamata Maria Voce, leader del movimento dei Focolari. Ma Bergoglio non ha affatto tagliato i ponti con la dottrina e la tradizione della Chiesa, come l’ac­cusano alcuni. Ha scritto Enzo Bianchi: «Se infatti, se­condo le sue stesse parole, il vescovo di Roma proviene dalla “fine del mondo”, in realtà chi conosce davvero la tradizione della Chiesa percepisce che papa Francesco proviene dal profondo delle “interiora ecclesiae”».

Da ultimo. Jorge Mario Bergoglio ha sicuramente una carica di simpatia umana che lo rende unico. Il più grave torto che si può commettere nei suoi confronti, però, consiste nello scambiarlo per “buonista”, anziché cogliere il messaggio forte, al tempo stesso scomodo e liberante, del quale egli è portatore: l’esigenza di tor­nare alla nuda radicalità del Vangelo, che ha nella mi­sericordia di Dio, fattasi carne in Gesù Cristo, il suo centro.

FrancescoPapaPrimeVolte_BrossurAlette.inddEdizioni San Paolo, “Francesco. Il Papa delle prime volte – Tutte le sorprese di Bergoglio” di Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis, pp. 264, euro 16, 2018

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