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Come trattare la Generazione Z, quella “delle stelle”? La riflessione di Benedetto Ippolito

Si parla ormai da qualche tempo della nuovissima generazione Z. Si tratta di quei bambini che non soltanto hanno vissuto l’adolescenza nel nuovo millennio, ma vi sono immersi dalla nascita. Insomma, una classe interamente staccata dal xx secolo. Il mondo per loro è ormai interamente contraddistinto dal virtuale e dalla connettività permanente. I giochi, i film, l’apprendimento informativo, ogni tipo di approvvigionamento epistemico è acquisito dal web e non dalla realtà. Si tratta di un dato evolutivo dell’homo tecnologicus che avrebbe poco senso contestare e sarebbe assurdo misconoscere. Un portato essenziale di questa nuova ondata di cyber-umanità riposa, per l’appunto, nella coincidenza di forme diverse di razionalità, nella mancanza di una visione d’insieme e nella difficoltà psicologica di adattare la natura umana, di cui ogni persona è soggetto, alla fenomenologia sociale dei modi immaginari di vivere.

Gli attesi e previsti problemi relativi alla scarsa comunicazione e all’insolazione solipsistica, in realtà, sono stati sorpassati da altri, legati principalmente all’organicità equilibrata di una verità di insieme, sempre meno accessibile e decifrabile a vantaggio invece di un frazionamento prospettico e di una sorta di sclerosi molecolare interpretativa. Gli aspetti sentimentali, ad esempio, seguono una logica non solo diversa, ma altra rispetto alla razionalità calcolante, e la realtà concreta è vista come separata da quella ipotetica, con contorni non sempre riconosciuti nella loro reciproca essenza.

Dal punto di vista educativo la generazione Z è difficilissima da guidare nel percorso di crescita. Spesso i genitori soffrono di analfabetismo rispetto ai mezzi tecnologici che paiono liberare l’infanzia da controlli etici e da tavole valoriali precise. Il culto del relativo diviene incontrastato, o difficilmente limitabile. Perciò si può dire che mentre la precedente generazione X aveva il passato e doveva costruire l’emancipazione del suo futuro, l’inedita generazione Z ha soltanto il futuro senza basi storiche strutturate provenienti dal passato. Ciò implica per chi è adulto il requisito necessario di solidi princìpi e la positività di attrarre l’esistente a quanto è smarrito ma anelato, desiderato psicologicamente ma non fruibile nel vissuto.

La buona educazione intergenerazionale implica colmare un divario. E oggi nella rapidità di un futuro presente, il passato è utopia e suggestione, una sicurezza oggettiva da offrire con autorevolezza comunitaria e consapevolezza etica.

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