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Ricordando Marco Biagi e contro una lettura ideologica del lavoro

Marco BIAGI

Ricordando Marco Biagi non possiamo non considerare quanto il lavoro abbia subito in Italia un sovraccarico ideologico che ne ha negativamente condizionato la regolazione da leggi e contratti e ha indotto, caso unico al mondo, una endemica propensione alla violenza fino all’omicidio nei confronti di persone che a vario titolo se ne sono occupate. Si è certamente conclusa la stagione del conflitto militare tra lo Stato e le bande armate ma rimangono scuole di violenza troppo tollerate che possono ancora dare luogo a cellule capaci di colpire una persona indifesa e di condizionare il nostro percorso democratico. Per questa ragione sono colpevoli i comportamenti di coloro che non avendo memoria né cultura continuano ad indicare precarizzatori seriali nel presupposto che la norma possa da sé produrre insicurezza e sfruttamento. Ribadiamo il nostro appello a trattare con cautela i temi del lavoro rispettando ogni opinione.

E le opinioni sono legittimamente varie dato che siamo indotti alla ricerca di nuove soluzioni nel Paese che da un lato ha registrato i più alti livelli di “unionizzazione” e dall’altro i più bassi livelli di produttività, di crescita, di occupazione, di remunerazione del lavoro. Il peggiore mercato del lavoro per Marco Biagi. Dati questi presupposti, la rivoluzione tecnologica rappresenta allo stesso tempo: a) l’opportunità per uscire da questa trappola, per produrre più e migliori lavori perché aumenta la capacità delle persone e b) un pericolo di ulteriore polarizzazione dello sviluppo, delle competenze, della ricchezza perché interviene in un Paese già segnato da forti dualismi territoriali e da una atavica propensione a sostituire lavoro con macchine. Il recente documento unitario del Senato sul futuro del lavoro in Italia ha segnalato la priorità della professionalità nel lavoro per la occupabilita’ e il primato del contratto sulla legge per promuoverla e remunerarla. Erano le intuizioni di Marco Biagi nel libro bianco del 2001!

Ma la professionalità si può affermare nel contratto nazionale solo come diritto promozionale che diventa effettivo negli accordi di prossimità considerando come tali quelli aziendali, territoriali, di filiera, di cluster. Sono questi accordi lo strumento per condividere l’ingresso delle nuove tecnologie, il cambiamento della organizzazione della produzione, i modi della transizione professionale, le mansioni e gli inquadramenti che ne conseguono, una diversa struttura della retribuzione. Si ridimensiona quindi la rilevanza del contratto nazionale sotto questi profili anche se diventa la fonte prevalente di quel welfare integrativo e integrato di cui abbiamo parlato nel libro bianco che un anno fa dedicammo alla evoluzione del nostro modello sociale. Per la rappresentatività, in luogo di una legge, può essere risolutivo un accordo interconfederale largo, aperto a tutte le organizzazioni minimamente rappresentative sul piano nazionale, con il quale i firmatari si impegnano a rispettare quali livelli retributivi essenziali i minimi tabellari dei contratti leader.

Lo stesso tema della legittimazione degli attori contraenti si sposta sui livelli della prossimità ove possono essere rappresentative anche organizzazioni meno diffuse sul territorio nazionale. Non ci deve preoccupare la omogeneità di questi accordi e in conseguenza il controllo centralizzato su di essi che può talora risolversi in rigidità e rattrappimento. Può essere più utile un fertile pluralismo delle esperienze in modo che emergano buone pratiche e soluzioni efficaci perché tarate sulle diverse circostanza di impresa e di territorio. In prossimità le parti possono sperimentare la organizzazione di ecosistemi formativi che integrino scuola, università, formazione, esperienze lavorative anche attraverso il ruolo dei fondi bilaterali interprofessionali in quanto avvocati della domanda.

In prossimità le parti possono individuare modi nuovi di definire le mansioni con cui andare oltre la fotografia delle prestazioni dovute dal lavoratore per valorizzare il “come” quelle prestazioni vengono svolte e conseguentemente premiarle con una giusta remunerazione. Si tratta spesso di superare le resistenze indotte dalla preoccupazione delle imprese di perdere il controllo sul costo del lavoro e dei sindacati di perdere l’elemento della solidarietà nella retribuzione dei lavoratori. In prossimità si devono concordare criteri oggettivi di valutazione della professionalità che rimuovano ogni timore di discrezionalità e siano allo stesso tempo utili a sensibili differenziazioni. In prossimità diventano possibili accordi per attrarre investimenti e occupazione nelle aree più deboli ove il costo della vita può essere peraltro inferiore. Questi accordi sono tuttavia efficaci se viene loro riconosciuto un adeguato spazio di manovra per retribuzioni (dirette e indirette) sensibilmente collegate allo sviluppo delle professionalità. Vi possono concorrere gli incentivi fiscali e contributivi se determinano un significativo differenziale rispetto ai livelli ordinari di tassazione applicati al contratto nazionale in modo che anche una parte del salario possa essere rimessa in gioco negli accordi prossimi per obiettivi convenuti.

Le intese monitorate dal Rapporto Adapt descrivono tendenze positive nella contrattazione ma ancora poco diffuse e poco efficaci. Dobbiamo accelerare il cambiamento se siamo animati da quell’ansia dei risultati cui ci spronava Marco Biagi. Risultati che includono la qualità dei lavori ma nondimeno la loro quantità se vogliamo riproporre nel nuovo scenario tecnologico l’obiettivo non utopistico di una piena e distribuita occupazione.

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