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Cosa pensa Pompeo. Le sue ultime dichiarazioni da capo della Cia

Non dovrebbe stupire che la politica estera americana divenga muscolare con Mike Pompeo a capo del Dipartimento di Stato. Il benservito dato dal presidente Trump a Rex Tillerson avrà forse fatto tirare un sospiro di sollievo a una parte del corpo diplomatico statunitense, che da mesi chiede coerenza, spaesato dalle continue divergenze fra Trump e il Dipartimento di Stato. Ma con Pompeo a West Point viene anche meno l’asse fra Tillerson e il capo del Pentagono James Mattis, che in più di un’occasione ha raddrizzato il tiro dopo qualche uscita scomposta del presidente.

Pompeo non cambierà tanto il contenuto quanto il modus operandi. Un’anteprima dei suoi piani per il dipartimento di Stato si può ricavare da un’intervista di domenica scorsa a Margaret Brennan durante il noto programma di Cbs “Face the Nation“, quando il “falco” del Kansas ha parlato per l’ultima volta in pubblico da direttore della Cia. Incalzato, talvolta quasi infastidito dalle domande assai poco discrete della giornalista, Pompeo ha parlato di Corea del Nord, Iran, Siria e Israele con la sicurezza di chi ha già la valigia pronta per lasciare la Cia a Gina Haspel.

“Lavoreremo sodo per garantire quel che il presidente ha chiesto per tutto il suo tempo in carica, cioè la completa, verificabile, irreversibile denuclearizzazione della Corea del Nord” ha scandito in diretta Pompeo, facendo presagire un suo imminente impegno in prima persona sul dossier. Finché Kim non righerà dritto, ha aggiunto poi, non ci sarà “nessun sollievo”, per Pyongyang, cioè soprattutto nessun rallentamento delle sanzioni internazionali che hanno affaticato il regime. Pompeo vuole dunque tenere la barra dritta, concedendo pochi o nessuno spazio di contrattazione, a differenza di Tillerson, che, come in passato ha scritto su twitter lo stesso Trump, stava “sprecando il suo tempo a provare a negoziare con il piccolo uomo-missile”. Dall’ex ad di Exxon Mobile il nuovo segretario di Stato si distingue per una più decisa presa di distanze dall’amministrazione Obama. “In questa settimana abbiamo ottenuto di più di quanto ha fatto la precedente amministrazione”, ha commentato a Face the Nation domenica, “alla fine, Margaret, non contano nulla le parole e quello che qualcuno dice”.

E a quelli che Tillerson ha definito, in un’intervista alla Brennan a 60 minutes, “saggi negoziati step-by-step”, Pompeo sembra preferire un approccio tranchant: “Stai pur certa”, ha chiarito alla giornalista, “che quando il presidente entrerà in quella stanza con Kim Jong-un, se Kim rispetterà i quattro impegni che ha preso, sarà pronto a parlare con lui”.

Se la musica cambierà sul dossier nordcoreano, tanto più lo farà sull’accordo sul nucleare con l’Iran di Rohani. Già dal suo scranno nel Congresso Pompeo aveva ferocemente contestato la strategia di Obama. “Hanno lasciato in mano all’Iran una potenza esplosiva”, ha rincarato domenica in tv, garantendo che con Trump “le cose procederanno molto diversamente”. Lo stesso vale per la Siria, dove l’ombra di Teheran si è estesa a dismisura: se “gli iraniani hanno avuto un free pass con la precedente amministrazione”, il nuovo corso diplomatico americano ha assunto “una postura molto più aggressiva nel contrastare l’Iran”. Quanto ai bombardamenti con il napalm che in questi giorni, secondo quanto riportato da alcune agenzie, hanno colpito il sobborgo di Ghouta est, Pompeo esclude a priori un coinvolgimento statunitense, e sposta la palla nel campo russo: “i russi o gli iraniani potrebbero esserne responsabili”.

In Medio Oriente gli Stati Uniti rimangono saldamente schierati con Tel Aviv contro “l’incredibile diffusione dell’egemonia iraniana”. Pompeo ha infatti rivelato di “lavorare al fianco degli israeliani per sviluppar un quadro completo di intelligence di quel che sta accadendo”.

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