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Putin e la Russia, la costruzione di un’identità unica

Di Nona Mikhelidze
Putin, Tajani

Nel corso dei decenni, la ricerca sul comportamento dello Stato in politica estera si è ampiamente concentrata sulle capacità materiali piuttosto che su fattori ideologici o sui legami con la storia e il mito politico. La difficoltà nello spiegare la formazione del processo decisionale ha motivato alcuni studiosi a riscoprire il ruolo che idee e credenze svolgono nel policy making, suggerendo che la loro influenza nel mondo politico moderno è stata di centrale importanza. Una certa riflessione si è sviluppata sul perché alcuni decisori politici non rompano con le vecchie scelte anche quando l’evidenza suggerisce che queste ultime non rappresentino soluzioni ottimali.

Dal 2014, in seguito all’annessione della Crimea, all’attuale guerra del Cremlino in Ucraina e alle sanzioni occidentali imposte alla Russia, Mosca sta vivendo tempi duri per il suo sviluppo economico e le relazioni politiche con la comunità internazionale. Eppure la strategia del presidente Vladimir Putin verso l’Ucraina, e in generale i conflitti nello spazio post-sovietico, sembra rimanere assertiva.

Per capire le ragioni sottese alla strategia e all’agire geopolitico della Russia, si dovrebbe analizzare come l’identità russa, i suoi valori e le sue percezioni siano stati politicizzati da quando Putin è al potere. In particolare, si dovrebbe esplorare la visione del mondo portata avanti dai russi e da Putin e dal suo establishment politico in primo luogo, e il modo in cui essi percepiscono il mondo attorno a loro, diviso che è considerato nella “loro” sfera e ciò che è “alieno”. Come percepiscono, cioè, l’identità culturale e di civiltà e le attuali relazioni con gli Stati dello spazio post-sovietico.

LA FATICA DI RICOSTRUIRE UN’IDENTITÀ GEOPOLITICA E NAZIONALE 

Dai primi anni Novanta, l’élite politica russa ha avuto come scopo principale da un lato la costruzione di un nuovo spazio geopolitico, e dall’altro la rivalutazione dell’ordine politico westphaliano. Per far ciò, fu quindi necessario sia delineare il mito culturale dell’unicità nazionale, sia disegnare nuovi confini, che potevano essere tanto concettuali, sociali e cartografici, quanto immaginari o reali. Il bisogno di concettualizzare la nozione di nazione russa diventò così un’assoluta necessità. Tuttavia, l’assenza di ideologia ha complicato questo compito. Fu così quindi che la narrazione di tipo slavofilo sul rifiuto del dominio globale occidentale da un lato, e sull’emergere della Russia come un’indipendente civiltà ortodossa-eurasiatica dall’altro si rivelò la soluzione ottimale.

Due fattori hanno spianato la strada all’emersione di uno storytelling sull’unicità della civiltà russa: da una parte la mancata volontà di modernizzare l’economia interna, e dall’altra la competizione normativa tra Mosca e l’Occidente nello spazio post-Sovietico.

Dopo aver realizzato alcune riforme liberali durante la sua prima fase al Cremlino, Vladimir Putin ha in seguito preso le distanze da uno sviluppo strutturale ed economico della Russia, e dall’idea di usare l’Europa come modello per lo sviluppo del Paese. L’Occidente si è rivelato un luogo di “uguaglianza tra bene e male” (come ha detto lo stesso presidente russo) e relativismo morale. Ancora peggio, secondo Putin, è l’imposizione da parte dell’Occidente dei suoi valori sui Paesi post-sovietici, compresa la Russia. Infatti, subito dopo il collasso dell’Unione sovietica, Mosca si è trovata a competere con Stati Uniti, Unione europea e altri attori regionali del Caucaso meridionale e dell’Europa orientale. Lo spazio post-sovietico si è trasformato in un campo di battaglia normativo, con Bruxelles e Washington tese a promuovere i valori occidentali e la Russia che offre in risposta un proprio sistema valoriale basato su idee e tradizioni conservatrici e ortodosse.

IL RIFIUTO DELL’UNIVERSALISMO OCCIDENTALE E DI UN MONDO UNIPOLARE 

Per l’establishment politico russo e per il presidente Putin, la civiltà occidentale porta con sé individualismo, egoismo, competizione, consumo e sfruttamento economico. Dalla prospettiva russa, l’Occidente si relazione con la spiritualità e la forza degli altri popoli dalla propria prospettiva della supremazia del razionalismo e del progresso tecnologico.

In questo contesto, l’Occidente rifiuta in qualche modo l’idea che qualcuno abbia il diritto di affermare di essere universale o di essere lo standard per gli altri; in realtà ciascuno dovrebbe avere un proprio schema di sviluppo. In breve, tema principale di questa narrazione è evitare che la Russia venga assorbita da altre civiltà. Per questa ragione, indipendenza e sovranità russe vanno assolutizzate come valori nazionali.

È interessante notare come la frequenza di impiego dei termini “civiltà”, “cristianità ortodossa”, “moralità” (nravstvennost) e “spirituale” (dukhovnyi) sia decisamente aumentata nei discorsi di Putin degli ultimi anni, specialmente dal suo ritorno alla presidenza nel 2012. Il Russian Foreign Policy Concept del 2013 pone l’accento sul fatto che, nella storia moderna, la competizione fra attori globali ha luogo infatti a livello di confronto fra civiltà. Uno scenario in cui gli Stati più potenti sono non soltanto rappresentativi in termini geografici, ma anche esponenti di modelli di civiltà antagonisti.

Lo stato-civiltà è inteso come una super-istituzione che tutela persone, tradizioni, storia, cultura, morale, e le regole del vivere civile, ma soprattutto protegge la propria unicità e sovranità. Questa narrazione è stata accompagnata dai continui richiami di Putin alla globalizzazione come processo di distruzione di valori tradizionali, religiosi e spirituali e dall’atteggiamento mantenuto nei conflitti etno-politici nei paesi dello spazio post-sovietico.

Puntando alla decostruzione dell’universalismo e dell’imperialismo culturale occidentale, la pietra angolare su cui si fonda la narrazione di Putin è la multipolarità dell’ordine mondiale. Perché in quest’ottica la Russia possa agire da polo in questo mondo multipolare, è necessaria l’integrazione dello spazio post-sovietico.

Le dimensioni geopolitiche dei conflitti nel Vicinato sono infatti diventate sempre più importanti per la Russia; Mosca ha usato la sua risposta alle rivendicazioni secessioniste nei Paesi della regione per dimostrare all’Occidente il suo stato di grande potenza e la sua abilità di restaurare il suo primato su quello che era stato territorio sovietico, impedendo al tempo stesso che altri attori stranieri si intromettano nella sua zona d’influenza. A tal fine, Putin ha invocato la percezione sociale della vicinanza identitaria e culturale della Russia rispetto ai Paesi post-sovietici. L’esempio più evidente è la sua affermazione di un presunto diritto di annettere la Crimea, “storicamente” russa.

Il Cremlino ha anche ritratto le sue azioni di aggressione nello spazio post-sovietico come una lotta esistenziale per l’indipendenza della Russia e a tutela della sua sovranità nazionale. “Non si tratta solo di proteggere la Crimea ma la nostra stessa indipendenza, la nostra sovranità e il nostro diritto di esistere”, disse Putin ad una conferenza stampa del 2014, riecheggiando la famosa citazione dell’imperatrice Caterina la Grande, secondo cui “non ho altro modo per difendere i miei confini che estenderli”.

UN PRESIDENTE CHE NON SI TIRERÀ INDIETRO

Tuttavia, quest’idea di impero che rivendica i caratteri fondanti della civiltà russa è essenziale per capire Putin. Il presidente ha promosso l’idea che la cultura russa sia eccezionale ma anche minacciata, e che sia lui l’uomo adatto a salvarla. Putin non si vede tanto impegnato a espandere aggressivamente un impero, quanto piuttosto a difendere la civiltà contro i valori occidentali e la democrazia liberale. Inoltre, attraverso la promozione di questa narrazione sulla civiltà russa, Putin riesce a restare in contatto con le persone comuni, il suo metodo più efficace per garantire la permanenza al potere.

In Russia, fra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, il contratto sociale fra popolo e governanti prevedeva che, in cambio del sostegno al regime, lo Stato avrebbe garantito alla popolazione la partecipazione ai profitti derivanti dal petrolio. Oggi, a causa del calo dei prezzi del greggio e delle sanzioni economiche che colpiscono la Russia, i termini dell’intesa sono cambiati: il Cremlino ha “riportato a casa” la Crimea e lo status di grande potenza globale, e in cambio la popolazione russa deve accettare le restrizioni di libertà e benessere e accettare una debole condizione economica.

A questo punto, anche volendo, sarebbe difficile per Putin fare un passo indietro e liberarsi dalla narrazione che egli stesso ha forgiato da quando è salito al potere. Benché l’economia russa sia in vistoso indebolimento, questa condizione non innesca un processo di de-ideologizzazione della politica russa nello spazio post-sovietico. Questioni ideali come il racconto sull’unicità della civiltà russa e della sua costruzione nazionale, sui valori ortodossi e sull’identità sovietica degli Stati della regione sono diventate parti integranti della politica estera russa. Fattori ideali come questi non hanno spesso un sostrato di credibilità, avendo piuttosto a che fare con spiegazioni irrazionali. E tuttavia, andrebbe riconosciuto che la cultura politica russa funziona coerentemente con una sua logica e una sua razionalità interna. Più semplicemente, il calcolo costi-benefici realizzato da Putin è diverso da quello che è perseguito dai politici occidentali.

(Articolo pubblicato da Affaritaliani)

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