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Perché Putin alle urne cerca il consenso, non la vittoria (scontata)

Il 18 marzo del 2014 la Russia ha proclamato ufficialmente l’annessione della Crimea, a distanza di quattro anni la Russia va al voto per eleggere il presidente che guiderà il paese per i prossimi sei anni. Protagonista indiscusso di queste date è Vladimir Putin: fu lui a mettere il punto formale sulla vicenda crimeana — l‘azione politico-geografica più aggressiva vista in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, ma anche un successo elettoralmente parlando per il presidente, spinto dalla propaganda della disinformazione con cui la questione è passata tra i cittadini. Oggi sarà lui a uscire vincitore dalle urne in una competizione totalmente scontata (dove gli sfidanti sono figure di contorno che servono a giustificare sotto il cappello della democrazia elettorale la presa autoritaria sul potere di “Zar Vlad”, soprannome giornalistico ma programmatico affibbiato al presidente russo; e pure il grande oppositore Alexei Navalny, escluso per evitare rischi con formule costruite apposta, non è che avesse enorme spinta elettorale).

I sondaggi lo danno sopra al 70 per cento, ma a rendere intrigante la competizione c’è un aspetto: la partecipazione. Putin uscirà dal voto come il più longevo leader della storia russa dai tempi di Joseph Stalin, ma il numero degli elettori che gli andranno a confermare questo consenso sarà un aspetto cruciale. Deve necessariamente essere alto, almeno al 70 per cento, per legittimarlo (il Cremlino chiama la formula “70-70”): almeno cinque punti sopra alla media delle truppe cammellate che il potere putiniano ha spostato dal 2000 in avanti, e ultimamente i russi hanno iniziato a stancarsi delle elezioni dall’esito scontato (la Commissione elettorale federale ha inviato a tutti i russi una cartolina con scritto: “Non ceda a nessuno il diritto di scegliere, proprio il suo Voto può rivelarsi decisivo! Si ricordi: Lei sceglie, il Paese vince!”).

Step successivo, spiega una lucida analisi della Stratfor, la successione, ma per creare la strada al futuro di Putin e avviare la rotta a colui che si vedrà affidato il suo regno c’è tempo almeno sei anni (alla fine del prossimo giro da presidente, tra l’altro, Putin avrà 72 anni, non un’età che lo metterà del tutto fuori dai giochi, e le modifiche costituzionali che teoricamente farebbero di questo venturo il suo ultimo mandato possibile, se i numeri a suo sostegno saranno forti, non sono da escludere: la Cina insegna, d’altronde).

Il quarto mandato presidenziale di Putin — secondo consecutivo in una presenza al potere tra premiership e presidenza che dura dal 1999 — si apre in uno dei momenti più delicati della storia contemporanea russa e non solo: il confronto con l’Occidente è salito a livelli critici. Ultimo tassello in ordine cronologico di questo intricato puzzle lo ha messo il tentato assassinio della spia russa naturalizzata inglese Sergei Skripal, avvelenato su suolo inglese con un agente nervino di fabbricazione russa che per Londra è più di un marchio di fabbrica, è una rivendicazione. La vicenda ha raggruppato Stati Uniti, Francia, Germania e Nato alle spalle del Regno Unito che ha incolpato Mosca dell’attacco — metodo da Kgb per regolare i conti con un traditore — e denunciato l’atto come un’aggressione in violazione delle leggi (e pure delle regole internazionali) in un Paese sovrano.

In questi due decadi di potere, Putin ha visto la Russia affrontare varie problematiche, ma il suo physiques du role da telegenico e muscolare 007, insieme alla costruzione di un apparato fedelissimo, l’eliminazione degli avversari e un’intensa opera propagandistica (per esempio: nella disinformazione diffusa dai media statali, la morte di Skripal passa come un avvelenamento da fugu, il pesce palla, ingrediente di alcuni sushi-roll che se non pulito a dovere secerne un veleno che ne intossica le carni) è riuscito sempre a restare in piedi. E il sistema Putin — quello con cui controlla il potere anche in mezzo al grigiore economico che avvolge la Russia — , è sempre più preso come modello da diverse forze politiche anche in Occidente, simbolo di una stabilità dal pugno duro, che piace alla Lega come al Ressamblement National. Quanto però piace ancora ai russi saranno i numeri delle urne a dirlo stasera.

 

 

 

 

 

 

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