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Crisi del Golfo, perché il Qatar guarda all’Italia per uscire dall’isolamento diplomatico

Il Qatar vuole dalla sua parte l’Italia per uscire dall’isolamento diplomatico. Tenuto in disparte da giugno da una parte della comunità internazionale sotto l’accusa, lanciata dai Paesi del Consiglio del Golfo, di finanziare il terrorismo islamista, l’emirato cerca ora una sponda nel governo italiano per restaurare la reputazione e gli investimenti all’estero. Questo il messaggio della delegazione qatarina che giovedì ha preso parte alla conferenza, organizzata dall’Ispi e da Comin&Partners nella Scuola di Perfezionamento delle Forze di Polizia di Roma, dal titolo “Combattere il terrorismo e le sue forme di finanziamento”.

La riunione romana dei diplomatici qatarini ha dell’eccezionale: al panel, assieme ad Alberto Negri de Il Sole 24 ore e Arturo Varvelli dell’Ispi, hanno preso la parola l’ambasciatore del Qatar in Italia Abdulaziz Bin Ahmed Al Malk, l’inviato speciale del ministero degli Esteri di Doha per l’antiterrorismo Mutlaq bin Majed Al-Qahtani e il direttore del Dipartimento per i diritti umani Faisal Bin Abdulla Al Henzab. Il tempismo non è causuale: gli Stati Uniti di Trump, che pure non ha ancora chiamato l’emiro Al Thani (nella foto), grazie anche alla mediazione del Kuwait, cominciano a lanciare segnali di disgelo verso il Qatar e l’Italia può fare da garante per le relazioni nel Vecchio Continente. “La campagna contro il mio Paese e le accuse di aver finanziato il terrorismo non hanno convinto la Comunità internazionale e i paesi più attivi del mondo come l’Italia”, ha dichiarato a proposito l’inviato speciale Al-Qahtani, ricordando alla platea che, a prescindere dall’embargo internazionale, il Qatar resta oggi “uno dei Paesi più stabili e prosperi del mondo”.

Dagli interventi dei qatarini emerge amarezza per quello che è stato considerato un tradimento dei “Paesi fratelli” del Golfo. Fra le varie accuse che pesano sulla testa di Al Thani, gli Stati confinanti puntano il dito contro il finanziamento dei Fratelli Musulmani, organizzazione fondata in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna, oggi presente in diversi Paesi arabi, protetta da Turchia e Iran, messa al bando da Paesi sunniti come Bahrain, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

“Parliamo di un conflitto puramente politico che non ha nulla a che fare con la questione del terrorismo”, risponde l’ambasciatore Al Malk, “alcuni dicono che i Fratelli Musulmani sono un movimento pacifico, altri li considerano un gruppo terroristico; il Qatar ha le idee molto chiare, ha sempre lavorato con le organizzazioni statali e non statali alla luce del sole”. Il diplomatico si è detto ottimista della buona riuscita “della mediazione del nostro Stato fratello del Kuwait“, ma la soluzione politica della crisi, qualunque essa sia, “non deve toccare minimamente la sovranità nazionale del Qatar”.

Dure parole infine sono state riservate al governo saudita di Mohamed bin Salman. Il rappresentante del ministero degli Esteri Al-Qahtani scorge nella sanguinosa guerra in Yemen “la testimonianza di una politica scellerata e densa di irresponsabilità”. E rispedisce a Rihad, neanche troppo velatamente, le accuse di finanziamento dei terroristi: “non voglio lanciare accuse, ma oltre il 90% delle finanze di Daesh viene dall’Iraq, e una percentuale fra il 3 e il 5% da fuori. Il petrolio di Daesh viene acquistato dai Paesi al confine con la Siria…”.

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