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Rapimento e morte di Aldo Moro. Intervista a Paolo Cucchiarelli

Moro

Saggista, giornalista parlamentare e investigativo per oltre vent’anni, Paolo Cucchiarelli ha seguito le commissioni d’inchiesta sui casi politico-giudiziari più eclatanti degli ultimi anni: Moro, l’attentato a Giovanni Paolo II, Gladio, Tangentopoli, la vicenda Mitrokhin. Ha all’attivo diverse pubblicazioni su queste vicende. Nel 2012 ha pubblicato “Il segreto di Piazza Fontana”, che ha ispirato il film di Marco Tullio Giordana “Romanzo di una strage”. Sua anche una famosa intervista esclusiva per l’Ansa, nel giugno 2008, al terrorista Carlos sugli eventi che portarono all’omicidio Moro. È invece del 2016 il libro “Morte di un presidente” che contiene delle importanti rivelazioni sull’omicidio di Aldo Moro e a cui seguirà un nuovo capitolo intitolato “L’ultima notte di Aldo Moro”, in uscita il 12 aprile per i tipi di Ponte alle Grazie. L’intervista a Formiche.net è la prima ad essere rilasciata sulle nuove rivelazioni dell’inchiesta del giornalista.

Ha rivelato già nel suo primo libro alcuni aspetti inediti, e clamorosi, sull’omicidio di Aldo Moro che aprono scenari nuovi anche in termini investigativi. Il rapimento avvenne quando stava per nascere il quarto governo Andreotti che, per volontà di Moro, avrebbe aperto la stagione del compromesso storico, l’alleanza di governo tra Dc e Pci. Cosa significava per l’Italia e per gli equilibri internazionali?

Rappresentava un passo unico nella storia politica italiana ed europea, perché era l’unione tra le due grandi forze politiche e culturali che avevano condotto la Resistenza contro il nazi-fascismo. Un evento che mutava gli equilibri anche internazionali, perché portava l’Italia e in prospettiva l’Europa fuori dall’accordo di Yalta. Le strutture politiche e della intelligence americana si erano espresse esplicitamente e chiaramente contro qualsiasi ipotesi di presenza del Pci all’interno della maggioranza e ancor più di presenza di ministri comunisti nel governo. Fu più volte avvertito pubblicamente, e non solo, di non proseguire in quella direzione. Moro cercò di spiegare che era l’unica soluzione per permettere all’Italia di uscire dalla crisi economica e di credibilità della politica. Ma non bastò”.

In questa vicenda ha un grande ruolo una struttura parallela e “coperta” degli Usa, secondo la tua ricostruzione.

“Esatto. Il rapimento di Moro fu voluto e gestito da una ‘forza’ che faceva riferimento ad una struttura parallela dei servizi americani nota come Secret Team. Questa è la struttura che ha agito all’interno del rapimento, preparandolo, dando un supporto operativo e contribuendo a fornire e coprire la prima prigione, che era dentro un immobile dello Ior (la banca vaticana gestita dall’arcivescovo americano Marcinkus) in via Massimi 91. Un luogo a poche centinaia di metri da via Fani”.

Una struttura che agiva nell’ombra e di cui si sapeva poco finora?

Di questa struttura ho parlato nel primo libro, “Morte di un Presidente”, e sviluppo ampiamente questo tema nel secondo perché la commissione Moro nel frattempo ha reso pubblici alcuni dei risultati delle indagini che hanno dato la certezza della presenza di questa struttura dentro e nella gestione del rapimento. A livello internazionale esiste una grande bibliografia sul Secret Team, ma non in Italia. Nessuno ci aveva lavorato pur contenendo aspetti clamorosi che la Commissione Moro ha reso pubblici solo in minima parte.

Partiamo dall’agguato di via Fani, di cui oggi ricorrono i 40 anni.

Una delle ipotesi serie, documentate e circostanziate è che il famoso superkiller, il cosiddetto Tex Willer che fa gran parte dell’azione, sia proprio un uomo gestito o presentato dal Secret Team alle Br. Potrebbe essere stato un ex berretto verde o un terrorista addestrato da loro. Forse fu Carlos: le rivelazioni che mi fece ai tempi della mia intervista trovano oggi nuove conferme.

Ma perché le Br avrebbero dovuto agire sotto l’ispirazione e l’azione di una struttura Usa?

“Perché pensavano che la struttura fosse in realtà al servizio della rivoluzione. Il Secret Team aveva la sua base operativa principale in Libia, dove due ex agenti della Cia, Edwin Wilson e Frank Terpil, addestravano terroristi per conto di Gheddafi. In realtà questa attività era una copertura per le azioni del Secret Team, espressione dell’establishment americano più conservatore. Esiste una immensa documentazione, sia legata a processi che a inchieste del Parlamento statunitense, che dimostrano il ruolo di questa struttura e di questi agenti”.

Torniamo allora al ruolo avuto da questa struttura in via Fani e nell’omicidio di Moro.

La Commissione Moro ha la prova che il Secret Team ha avuto la regia del rapimento e della prima prigione. Ma queste prove sono state occultate dall’apposizione di un segreto che potrebbe durare dai 30 ai 50 anni. E questo è il vero scandalo di questa storia. La relazione finale, per come è proposta, contiene un centesimo di quello che la commissione aveva a disposizione. La prima prigione di Moro era in uno stabile frequentato da personaggi molto noti ai nostri servizi e collegati anche alle vicende di Ustica e della strage di Bologna. Va detto inoltre che il Secret Team ha operato o avuto ruolo in tutte le operazioni più importanti degli anni ’70-’80: in Laos, in Vietnam, nell’operazione Mangusta contro Castro, nell’omicidio di Kennedy, in Iran, in Libia, in Nicaragua. Non lo dico io, ma il governo americano e la magistratura americana.

La morte di Moro è stata pianificata dall’inizio o è stata l’evoluzione di una serie di eventi?

Faccio una premessa. Moro era consapevole di quale forza avesse agito nel rapimento e propose uno scambio: in cambio della sua liberazione aveva assicurato il proprio silenzio e l’abbandono del compromesso storico. Sapeva che il suo rapimento non era una azione politica ma una sofisticata operazione di condizionamento sull’Italia. Chi aveva voluto il rapimento sapeva che Moro poteva diventare altrimenti un personaggio più importante e credibile dello stesso De Gaulle nell’affrancamento dell’Italia e dell’Europa dalla tutela degli Usa”.

Quindi era deciso che dovesse morire?

“Non esattamente. L’omicidio, diciamo così, è stato lasciato accadere. Io racconto quanto avvenne. Moro fu portato in un luogo dove avrebbe dovuto essere riconsegnato a rappresentanti dello Stato, per poi essere effettivamente liberato nei giorni seguenti. Ma ciò fu reso impossibile perché intorno al luogo dove era stato portato venne stretto una sorta di cordone sanitario che rendeva impossibile l’accesso a chi doveva prendere in custodia il presidente della Dc. Va sottolineato che questo luogo era di proprietà demaniale, per l’esattezza era stato dato in gestione alla guardia di finanza come dormitorio dell’accademia ufficiali. Come era un dopolavoro della Gdf anche la prigione di Fregene. Ovviamente il luogo della riconsegna in quei giorni era completamente sgombro”.

Libro cucchiarelli moroInsomma la riconsegna era impossibile. Ma perché ucciderlo?

“Moro fu ucciso perché chi lo doveva consegnare non aveva altra scelta. Per sapere perché non avesse altra scelta, però, vi invito a leggere il mio libro”.

 

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