Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il destino di Sarkozy e le ragioni della guerra (sciagurata) alla Libia

Nicolas Sarkozy, ancora in stato di fermo a Nanterre, attende che alla fine del suo lungo interrogatorio gli investigatori lo restituiscano alla libertà. Comunque andranno le cose, l’opinione pubblica francese sembra convinta, da quel si sente in giro e da quanto si legge sui giornali, che la sua “stella” è definitivamente tramontata. Si fa strada nella considerazione generale, al di là delle gravi accuse che gli vengono mosse, che la guerra scatenata dall’allora presidente contro la Libia sia stata determinata non tanto da motivi strategici ed economici (il sostegno alle “primavere arabe”, l’acquisizione di una posizione di supremazia – ai danni dell’Italia – nello sfruttamento delle risorse energetiche libiche), quanto dalla necessità di chiudere la bocca a Gheddafi proprio per salvaguardare se stesso. Non si saprà mai, naturalmente, se questa ipotesi abbia un fondamento di verità: ci limitiamo a registrare il “sentimento diffuso” in Francia perfino in ambienti non pregiudizialmente ostili a Sarkozy.

Del resto, l’inchiesta partita da notizie messe insieme dal sito on line Mediapart nel 2012 è andata crescendo in ben sei anni fino all’esito che ha portato al fermo dell’ex-presidente. E, naturalmente, affrontata con tutte le cautele del caso trattandosi oltretutto di un “affare” che coinvolgeva lo Stato francese nel suo più alto vertice. Questo il motivo dell’attesa che ha suscitato numerosi interrogativi sulla cosiddetta “tempistica”. Ricapitoliamo.

Nel novembre 2016, al tempo delle primarie dei Républicains – la più disastrosa delle esperienze politiche di Sarkozy dopo la sconfitta nel 2012 contro François Hollande – l’intermediario libico-libanese Ziad Takieddine aveva affermato di aver consegnato tra la fine del 2006 e gli inizi del 2007 cinque milioni di euro in contanti prima a Claude Guéant, capo di gabinetto di Sarkozy e poi direttamente all’allora ministro dell’Interno che si preparava alla scalata presenziale.

Per di più, l’ex-ministro libico del petrolio, Choukri Ghanem, morto in circostanze non ancora definitivamente accertate, nel 2012 aveva già dichiarato l’esistenza di finanziamenti libici a Sarkozy, mentre il noto (in Francia ed ovviamente in Libia) uomo d’affari Bechir Saleh, recentemente rimasto ferito in una misteriosa aggressione a Johannesburg, aveva confidato a Le Monde che Gheddafi, senza nessuna riserva, andava dicendo di aver finanziato Sarkozy. Più recentemente il dipartimento di polizia per la lotta contro la corruzione ha inviato alla magistratura un rapporto, compilato sulla base di numerose testimonianze, su come notevoli somme di denaro circolassero nell’entourage della campagna elettorale presidenziale di Sarkozy. Elementi tutti al vaglio degli inquirenti e che sono oggetto del lungo interrogatorio a cui l’ex-leader della destra repubblicana è sottoposto.

Dunque, ci si chiede a Parigi – e non soltanto negli ambienti politici: Sarkozy aveva o no interesse a liberarsi in qualche modo di Gheddafi fino a scatenare contro di lui un’insensata guerra che oltretutto andava a detrimento di un partner importante dell’Unione europea come l’Italia? L’interrogativo è inquietante. E tutti ricordano la riluttanza di Silvio Berlusconi, allora capo del governo, ad assecondare l’alleato che oltretutto non lo amava (la scenetta dei sorrisini tra l’inquilino dell’Eliseo e la signora Merkel, a proposito del cavaliere non ancora disarcionato non sarà facilmente dimenticata). Sono numerosi i reati contestati dei quali Sarkozy dovrà rispondere e convincere gli inquirenti della sua estraneità ad essi.

Oltre al dato giudiziario, ce n’è uno politico. Sarkozy, già percepito dopo la sconfitta contro Hollande come la personificazione del tradimento più grave recato al gollismo, oggi viene considerato come un uomo che ha tradito perfino se stesso. Nel suo Témoignage, manifesto-programma fondante l’azione di rinnovamento del vecchio Rassemblement gollista, scriveva: “Io sponsorizzo una globalizzazione umana, che prometta l’emancipazione e il progresso dell’uomo e rifiuti ciò che lo schiavizza. La globalizzazione è un’occasione unica per generalizzare il rispetto dei diritti dell’uomo e della democrazia, rendere la conoscenza accessibile a tutti e permettere a milioni di uomini e donne di accedere allo sviluppo, tutte cose di cui ci dimentichiamo”. Lo sosteneva nel 2006: cinque anni dopo, il 19 marzo 2011, portava l’inferno in Libia e bruciava sull’altare della sua ambizione e, si sospetta, dei suoi personali interessi, ciò che aveva sostenuto poco prima di dare l’assalto all’Eliseo, riducendo il Mediterraneo in un mare in fiamme, percorso da canaglie e da “dannati della terra”, mentre il Paese aggredito diventava un immenso campo di concentramento per profughi da “vendere” o farne miliziani assoldati dalle fazioni in lotta. Un macello, insomma.
Ricordiamo, en passant, che alcuni autorevoli intellettuali francesi sostennero la legittimità dell’operazione in Libia: primo fra tutti il solito porta-bandiera dei diritti umani “alla sua maniera”, Bernard-Henry Lévy che non si pose in quell’occasione in problema delle conseguenze e della dissennata “campagna di Libia”.

Sarkozy, personificazione dell’arroganza di una destra poco credibile, ondivaga, alla perenne ricerca della mossa vincente senza mai crederci troppo, nell’autunno del 2016 avrebbe voluto perfino vestirsi come Marine Le Pen, se ne avesse avuto la possibilità, pur di essere simile alla leader del Front National alla quale tentò di rubare i temi politici per riconquistare il partito che lo stava abbandonando. Il giochetto non gli riuscì e non gli rimase che contare i dipartimenti e le città che lo avevano “tradito”, dopo che lui aveva tradito il suo stesso elettorato, buttando a mare sovranismo ed europeismo in salsa gollista, defiscalizzazione e lotta all’immigrazione illegale, riformismo e rinnovamento sociale per farsi sostanzialmente i fatti suoi che non hanno mai conciso con quelli della Francia e neppure con quelli degli alleati dell’Unione. Non aveva messo nel conto che il francesi, ed in particolare coloro che lo avevano sostenuto, non avevano ancora dimenticato quel brutto giorno, nel quale, convocati i partner europei all’Eliseo, si alzò dalla tavola dove stavano consumando il sorbetto alla fine di un pranzo piuttosto indigesto e annunciò al mondo, con rumorosi raid aerei, l’attacco alla Libia, complice il suo compare Cameron e con la benedizione discreta di Obama. Il disastro che ne seguì – qui brevemente ricordato – fu l’epilogo della sua permanenza al vertice della politica francese: regalò la presidenza ad Hollande e si portò via le inchieste giudiziarie ferme per via della posizione che occupava, ma riaperte un istante dopo. Ha passato più tempo negalo ultimi anni con giudici ed avvocati che con elettori ed militanti.

Sarkozy è stato un leader (o presunto tale) sostanzialmente infedele con chi ne ha favorito l’ascesa, a cominciare da Jacques Chirac e finendo con i suoi compagni di partito. Non ha mai espresso un’idea politica originale e convincente se non quando ha tentato di scippare un po’ di sovranismo a Charles Pasqua, un pizzico di nazionalismo dalla retorica gollista, un briciolo di identitarismo dalla destra lepenista. Di suo avrebbe voluto metterci quel tanto di liberalismo che consentisse ai francesi di vivere un po’ meglio, ma non gli è stato possibile poiché le politiche stataliste incoerentemente perseguite mal si sposano con le leggi del mercato. E semmai avesse voluto tentare ardite combinazioni era altrove che doveva guardare, magari al di là della destra e della sinistra, alla nazione come il Generale gli avrebbe consigliato.

Per di più non ha capito che adulterare idee e passioni prevalenti dell’elettorato allungandole, come si fa con il vino cattivo, ricorrendo a massicce dosi di politically correct, salvo poi rinnegarlo, non fa acquistare simpatie. Avrebbe dovuto lavorare alla costruzione di un fronte articolato identitario e nazionalconservatore quando ne aveva la possibilità, prima di perdere la faccia insomma. Un volta disse – come riporta la drammaturga francese di origini iraniane, Yasmine Reza autrice di un reportage su Sarkozy al tempo della sua scalata, “L’alba, la sera o la notte” -: “Ho fatto tutto quello che dovevo. Ho fatto tutto fino in fondo”. Chissà se c’è qualcosa che non rifarebbe, a nessun costo.

×

Iscriviti alla newsletter