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Terrorismo e relazioni internazionali, perché l’Italia deve tenere la barra dritta. Parla Alli

terrorismo Angelosanto , Alli, Poliziotti al meeting di Cl

Mentre il caso Skripal sembra aprire una voragine tra Mosca e l’Occidente, il capo della Polizia Franco Garbielli conferma che il terrorismo resta una “minaccia incombente”. L’allerta non va sottovalutata; piuttosto è da considerarsi un monito (forse anche alla nuova legislatura) a non abbassare la guardia, poiché con la sconfitta dell’Isis, il terrorismo si sta riorganizzando. Parola di Paolo Alli, presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato, che abbiamo raggiunto per commentare le parole del prefetto e le recenti evoluzioni della crisi diplomatica sviluppatasi in seguito all’avvelenamento dell’ex spia russa. Se quella del capo della Polizia è sembrata una richiesta di attenzione piuttosto urgente (qui l’approfondimento di Formiche.net), tra l’altro lanciata nel corso dei saluti a Papa Francesco, dal caso Skripal arriva un dossier particolarmente delicato per il nuovo governo italiano, che riguarda i rapporti con gli storici alleati e con la Russia di Putin. Guai a sottovalutarlo.

Presidente Alli, è d’accordo con le parole del prefetto Gabrielli?

Assolutamente sì. Come del resto stiamo valutando in ambito Nato, il terrorismo è tutt’altro che morto e sconfitto. La sconfitta sul campo di Daesh ha convinto molti osservatori che fosse finita l’epoca della minaccia terroristica; eppure questo fenomeno ci ha abituati da decenni a continue trasformazioni. La domanda da porsi non è dunque se il terrorismo di massa sia finito o meno, ma piuttosto quale forma possa assumere dopo la fine dello Stato islamico. Se è vero che è stata sconfitta l’ambizione statuale portata avanti da Daesh, è altrettanto vero che non è stata eliminata l’ambizione del controllo sull’economia e sulla società. Mentre lo Stato islamico si sta leccando le ferite, il terrorismo si sta riorganizzando. Credo che sia dunque corretto il monito del prefetto Gabrielli, così come posso garantire che il livello di attenzione non è diminuito.

Dopo l’ultimo attentato in Francia, qual’è il rischio maggiore che corrono i Paesi europei?

Ritengo che il vero rischio non verrà dai fenomeni isolati come il recente attacco a Trebes, in Francia, che pure terrorizzano la popolazione. Il vero rischio arriverà dalla riorganizzazione del terrorismo in forma più sofisticata, attraverso collegamenti internazionali ormai strutturati che vanno dall’Afghanistan alle zone dell’Africa sub-sahariana dove, durante l’esperienza di Daesh, alcuni gruppi hanno avuto modo di strutturarsi meglio. In tal senso, l’allarme di Gabrielli arriva da informazioni su cui non ho elementi, ma certamente va tenuto in grande considerazione.

Pensa dunque a una transizione simile a quella che è avvenuta in passato da al-Qaida all’Isis?

Penso a qualcosa di simile. Ciò non significa che non siano gravi i fenomeni isolati, ma che essi rientrano in uno spirito di emulazione che in larga parte resta limitato a eventi circoscritti. Quello che temo è una riorganizzazione ben più strutturata che probabilmente richiederà del tempo, come già avvento per l’Isis dopo l’esperienza qaidista. Tuttavia è bene ricordare che oggi i tempi e i processi sono più veloci rispetto al passato.

Come è possibile evitare o contrastare tutto questo?

Dobbiamo lavorare sulla prevenzione. E, in questo senso, la cosa più importante è la collaborazione tra i sistemi di intelligence e di sicurezza dei diversi Paesi. Ciò però non è scontato e in Europa abbiamo già assistito ad eventi e operazioni figli della scarsa collaborazione.

Durante la sua presidenza dell’Assemblea parlamentare della Nato, l’Alleanza Atlantica ha inaugurato l’Hub per il Sud a Napoli. Può questo giocare un ruolo importante nella prevenzione al terrorismo?

Sono convinto che la creazione dell’Hub il Sud sia uno dei passaggi più significativi compiuti dall’Alleanza Atlantica. L’introduzione di una direzione strategica dedicata al fianco meridionale non è stata solo il frutto dei problemi riscontrati, ma anche il risultato dell’impegno profuso dai Paesi meridionali. L’Hub di Napoli resta un elemento su cui puntare molto, sebbene ad ora non rappresenti un centro per le operazioni militari, ma piuttosto la sede di un gruppo di “super esperti” che hanno l’obiettivo di capire le radici e l’evoluzione del terrorismo in alcuni Paesi. Si tratta di una grande intuizione su cui ora occorrerà lavorare, soprattutto nel suo rafforzamento in termini di risorse umane. Ne stiamo parlando in ambito Nato e il processo mi sembra già avviato. Sono contento, ad esempio, di aver incontrato a Napoli, insieme all’Assemblea parlamentare, il generale James Foggo, comandante del Joint Force Command, reduce da un’importante missione ad Addis Abeba in cui si è ipotizzata la collaborazione per missioni di capacity building e addestramento delle Forze di sicurezza locali. È un campo di importanza fondamentale nella prevenzione al terrorismo.

Che consiglio si sente di dare ai nuovi parlamentari che si troveranno ad affrontare anche questo delicato dossier?

Confesso che sono molto preoccupato da certi toni che sono stati usati durante la campagna elettorale, in particolare sulle vicende migratorie. Alcuni di questi tendono a confondere la migrazione con il terrorismo e la delinquenza. Allo stesso modo ho notato, da parte di alcune forze politiche, l’incapacità di pensare a un ragionamento di integrazione, in particolare sull’Africa, per garantire a questi Paesi un certo grado di sviluppo. Ciò è differente rispetto a quanto fatto dai governi Renzi e Gentiloni e mi preoccupa molto. Ai nuovi parlamentari consiglio di stare attenti e di pesare ogni singola parola, poiché ogni espressione può avere delle conseguenze disastrose sul piano internazionale. Se fino ad oggi non abbiamo avuto attacchi sul territorio nazionali, lo dobbiamo anche a un certo equilibrio nel linguaggio oltre che nelle azioni. L’Italia ha sempre avuto equilibrio sulle questioni internazionali (si pensi ai rapporti con la Russia) ed è opportuno che il nuovo Parlamento e il nuovo governo lo tengano ben presente. In campo internazionale non si possono usare parole fuori luogo perché le reazioni potrebbero essere imprevedibili. In particolare, spero che la Lega diminuisca la pressione esercitata su alcuni argomenti, così da evitare ogni pretesto. In sintesi, il suggerimento che mi sento di dare è: molta prudenza, apertura, e mantenimento dell’asse su cui si orienta la nostra bussola, cioè l’alleanza euro-atlantica.

Ritiene che anche Gabrielli abbia voluto lanciare un messaggio al nuovo Parlamento?

Non saprei. Tuttavia, mi sembra abbastanza significativo che il capo della Polizia abbia lanciato la sua allerta sulla minaccia terroristica all’indomani dell’insediamento delle nuove camere. Potrebbe essere causale, ma io non credo troppo alla casualità.

Lei ha parlato di Nato e di Russia. Oggi i rapporti sembrano incrinarsi con il caso Skripal. Che ne pensa?

Lo scorso fine settimana sono stato Vilnius con lo Standing Committee dell’Assemblea parlamentare della Nato e ho avuto modo di parlare con i colleghi inglesi, i quali ci hanno descritto con ricchezza di particolari l’accaduto. Devo dire che c’è poco spazio al dubbio sull’uso di agenti chimici vietati dalle convenzioni internazionali, e tra l’altro sembra provato che siano stati prodotti in Russia. Ho personalmente vissuto sulla mia pelle interferenze russe, e dunque non faccio fatica a credere che ci siano questi tipi di collegamenti. D’altronde proprio la reazione unanime dei Paesi europei dimostra che siamo di fronte a qualcosa di più grande dei semplici gesti che Putin ha utilizzato in passato per consolidare il consenso interno facendo ricorso alla postura internazionale. Ciò diventa ancora più inquietante dal punto di vista della lettura di quello che potrà accadere in Russia dopo la vittoria di Putin. Reazioni unanimi di Paesi europei dimostrano che è qualcosa di più di un semplice sospetto. Provvedimenti come quelli presi se non c’è motivo serio di farlo. Credo che sia fatto gravissimo e inquietante dal punto di vista della lettura che potrà accadere in Russia.

Ritiene dunque che la Farnesina abbia fatto bene a procedere sulla stessa linea di Stati Uniti e alleati europei?

Mi sembra un gesto abbastanza inevitabile. Come dicevo prima, non credo che potremmo facilmente uscire da un posizionamento internazionale in cui siamo da sempre. Anche per questo mi riferivo con preoccupazione a certi avventurismi di alcune forze politiche, più della Lega che del M5S.

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