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O noi o Berlusconi. Così l’aut aut di Di Maio echeggia fra i parlamentari M5S accorsi al #Sum 02

O noi o Berlusconi. L’aut aut lanciato dal Movimento Cinque Stelle alla Lega continua a mettere metri fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, quando ormai manca pochissimo al prossimo round di consultazioni al Quirinale. Il leader leghista ha ricucito con Silvio Berlusconi e al colle il centrodestra intende salire unito. Sembra che l’occasione per placare gli animi sia stata una sontuosa cena a Palazzo Doria Pamphili giovedì sera organizzata dall’ambasciatore armeno presso la Santa Sede Mikayel Minasyan. Nel ristrettissimo gruppo di convitati presenti anche Matteo Salvini e il capogruppo al Senato Giancarlo Giorgetti, vicesegretario del Carroccio, di cui è anche il nuovo capogruppo alla Camera. Da quelle sale sarebbe partito il tam-tam di chiamate con il leader forzista e i suoi più stretti collaboratori che ha rilanciato la proposta di un centrodestra unito al prossimo colloquio con Mattarella.

La notizia non è stata presa bene da Luigi Di Maio, che ora ha un occhio di riguardo verso il Pd di Maurizio Martina e oggi a margine di un evento M5S ad Aosta, all’indomani del Sum 02 di Ivrea, ha preso le distanze dal tentativo di “un governo-ammucchiata”. È un sentimento condiviso dalla base del Movimento. La stessa platea di Ivrea, sondata da Formiche.net, se lascia il beneficio del dubbio su un’alleanza dei Cinque Stelle con la Lega o il Pd, rifiuta a priori un governo con Silvio Berlusconi.

Dello stesso parere anche i parlamentari pentastellati che abbiamo intercettato alla convention di Davide Casaleggio. Vale per la deputata Laura Castelli, che sulla ritrovata sintonia del centrodestra preferisce glissare, augurandosi che “queste interlocuzioni si possano diradare al più presto per il bene dei cittadini”. Più netto il senatore Mario Michele Giarrusso: “Vadano con Berlusconi, noi non li seguiremo”. Niente veti ad personam, chiarisce, salvo tradirsi poco dopo quando sostiene che “i pregiudicati per reati gravi non possono entrare in un governo”. Il suo collega a Palazzo Madama Nicola Morra ribadisce l’ultimatum lanciato da Di Maio in un’intervista a Repubblica: “Rivoluzione o restaurazione”. “La Lega delle origini era una forza dirompente che voleva cambiare il sistema”, continua il parlamentare genovese, “adesso deve decidere se optare per la strategia del 1994 o del 1996”. “Un partito che si rifà al federalismo dovrebbe accettare la sfida di un movimento che ha al suo centro la democrazia diretta”, dice. E invece il Carroccio preferisce allearsi “con chi ha votato la legge Fornero e inserito il vincolo di bilancio in Costituzione”.

Persino due pontieri come Emilio Carelli e Gianluigi Paragone, giornalisti di lunghissimo corso eletti al Senato con il Movimento (ma già preziosi consiglieri del gruppo dirigente) ammettono ai microfoni di Formiche.net che il Cavaliere ha fatto il suo corso e non c’è motivo per includerlo in un’alleanza di governo. “In politica non ci possono essere pregiudiziali sulle persone” ci tiene a precisare Paragone, che fin dai tempi di Radio Padania conosce bene il Carroccio e ha un ottimo rapporto con Salvini. La leadership di Berlusconi, aggiunge, “ha perso valore, vigore, insomma ha perso. Non mi sembra saggio regalare una bombola di ossigeno a un leader che si avvia a una fase di declino, perché questo hanno detto gli elettori”.

Così anche Carelli non è un fan dei veti contro il patron di Mediaset, azienda di cui ha costituito un pezzo di storia. “Non so se l’unità del centrodestra può durare o è solo una mossa strategica di Salvini per far valere la sua supremazia” ci confida tra un incontro e l’altro del Sum. L’invito finale alla Lega è di scegliere “se guardare al passato o al futuro, se continuare a unirsi con forze che non hanno mai mantenuto le promesse fatte o trovare una convergenza programmatica con una forza giovane che vuole cambiare l’Italia”.

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