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Le due Coree verso la denuclearizzazione. Il ruolo degli Usa

Kim

Sul piano interno, Kim Jong-Un sta portando avanti due linee politiche originali e interessanti, tutte all’interno della Corea del Nord: l’arrivo di una nuova generazione al potere e l’evidente e stabile espansione economica. Sotto Kim Jong-Un, la parte privata dell’economia nordcoreana ha avuto un grande sviluppo; e la nuova classe di giovani al potere, che sono parte del ringiovanimento generale della società nordcoreana, rappresentano anche una incognita per le prossime, future trattative intercoreane e tra Usa e Corea del Nord. Certo, il Leader Supremo Kim Jong-Un comanda senza problemi, ma dovrà tenere conto della nuova temperie all’interno del Suo Partito.

Sul piano militare, Pyongyang ha un arsenale di trenta-sessanta testate nucleari, secondo i dati elaborati dall’intelligence statunitense. Finora, la Corea del Nord ha condotto 23 lanci di missili, nel solo 2017. Ma Kim Jong-Un ha dichiarato anche di voler imporre al suo Paese una moratoria sui lanci di missili N tra Marzo e Aprile 2018, durante le trattative bilaterali con la Corea del Sud. Segnali complessi da decifrare, ma certo tesi a creare una nuova percezione della Corea del Nord nel Sud e nel resto del mondo. Il summit avverrà a sud dell’area demilitarizzata di Panmunjom, nella Casa della Pace, vicina al “Villaggio della Tregua”, il 27 Aprile prossimo venturo. Un’area di pertinenza del Sud, appunto, ulteriore segnale da parte del Leader nordcoreano. Il meeting avverrà tra i due Presidenti, Kim Jong-Un per il Nord e Moon Jae-In per la Corea del Sud. Sono due i summit intercoreani già avvenuti: nel 2000 e nel 2007. L’incontro del 2000 era collocato alla fine della Sunshine Policy, terminata repentinamente con la presidenza, al sud, di Lee Myung Bak, un manager e politico che è poi finito in grossi guai giudiziari. Quello del 2007 riguardò invece l’armistizio del 1953 tra le due parti, i rapporti economici tra Nord e Sud, le questioni sui “diritti umani”. Nel prossimo meeting dell’aprile 2018 il Nord ha poi chiaramente affermato la sua volontà di denuclearizzare l’intera penisola, sostenendo, sempre Pyongyang, che non vi è nessuna necessità di armi nucleari quando sia garantita pienamente la sopravvivenza della Repubblica Democratica della Corea del Nord. Già, ma le armi al sud, con 23.468 militari Usa e cinque divisioni, ce le hanno gli americani, appunto, e sono loro ad avere la capacità massima di contrasto militare contro il Nord. Peraltro, i comandi Usa a Seoul organizzano spesso esercitazioni contro il Nord dopo la sua ipotetica invasione del Sud, con gli evidenti risultati per la popolazione coreana meridionale.

Naturalmente, a tutto ciò, nella trattativa, deve conseguire la cessazione di ogni minaccia nucleare verso Pyongyang, da qualsiasi parte provenga, ovvero dagli Usa e, con la sola minaccia convenzionale, dal Giappone. Il leader della Corea del Sud ha inoltre affermato che la Corea settentrionale vuole avere colloqui, definiti “candidi”, con gli Stati Uniti, soprattutto sulla denuclearizzazione di tutta la penisola e sul futuro mutuo riconoscimento tra i due Paesi. Più si va avanti, meno sarà proamericana la Corea del Sud; e non per una influenza del Nord, ma per lo stesso effetto subito dalla Germania Occidentale durante la “guerra fredda”: si, siamo contro il regime dell’Est, dicevano i tedeschi federali, ma se parte lo scontro nucleare i primi a patirne le conseguenze saremo solo noi. Se allora ci saranno risultati nelle trattative con gli Usa, Pyongyang cesserà, in quel periodo, ogni test missilistico o nucleare. La Corea del Nord vuole davvero, come certificano tutte le fonti del Sud, avanzare rapidamente sulla via del dialogo con Seoul, che è quindi, da oggi, una direzione stabile della strategia di Pyongyang. Qualunque sia la scelta degli Usa. Quindi, si tratta di un progressivo, inevitabile decoupling tra Seoul e Washington. Ora, l’America del Nord può rispondere in due modi, dopo che l’offerta di dialogo da parte di Kim Jong-Un arriverà anche a Washington: o l’adesione Usa alla denuclearizzazione totale della penisola coreana, oppure la permanenza di una “guerra fredda”, con momenti caldi, tra gli Usa e la Corea del Nord.

Nel primo caso, la trasformazione strategica della penisola asiatica creerebbe un vuoto militare grave per gli Stati Uniti, che potrebbero rispondere aumentando le forze nell’Oceano Pacifico meridionale o in Giappone, mantenendo così una minaccia grave su Pyongyang. Grave ma remota, e determinata da Paesi che non sono proni ai voleri degli Usa, come il Giappone. Nel secondo caso, la costante presenza di armi nucleari Usa nella Corea del Sud, che pure sarebbe difficilmente gestibile, dal punto di vista politico, per Seoul, creerebbe una escalation simbolica, ma non troppo, da parte della Corea del Nord. Sul piano politico, la scelta per Washington è delicatissima e non priva di effetti collaterali: la Corea del Sud potrebbe cessare di concedere alcune basi agli Usa, o aumentarne grandemente l’affitto, oppure far capire agli americani che non vuole diventare obiettivo nucleare per il Nord. Il Giappone, che già sta proseguendo il suo autonomo riarmo, potrebbe dire agli Usa che, oltre il limite attuale della presenza militare americana non vi è più posto per loro, o che l’autonomo apparato missilistico e navale giapponese potrebbe avere obiettivi strategici ben diversi. Immaginiamo che Kim Jong-Un abbia analizzato molto bene tutte queste connessioni logiche della trattativa tra Usa, Corea del Sud e Pyongyang. È cambiato, comunque, il clima politico tra le due Coree ed alcuni analisti hanno parlato della fine dello “spirito del 1990”. Nelle precedenti relazioni tra le due Coree per i giochi invernali di quest’anno, il fine primario del leader di Seoul era soprattutto quello di avere dei giochi pacifici e privi di tensioni politiche.

C’era stato, prima, il discorso di fine anno di Kim Jon-Un, tutto teso alla pace con il Sud, ma a tutti esso appariva come una consueta charme offensive, tipica, da sempre, della politica estera di Pyongyang. Peraltro, Moon Jae-In, il leader di Seoul, era stato eletto da una vasta maggioranza del popolo del Sud che vuole la pace con il Nord e che, soprattutto, vuole evitare la guerra, nucleare o convenzionale, nella penisola coreana. Anche questo ha contato. Sempre nel capodanno del 2018, il leader nordcoreano aveva citato la vittoria del suo Paese nel settore delle armi nucleari, affermando che ormai lo standard ottimale per una risposta o un attacco N erano ormai stati raggiunti. Questo potrebbe farci pensare che, d’ora in poi, la dirigenza di Pyongyang voglia sottolineare il lato puramente economico della dottrina del byungjin, la teoria, creata da Kim Jong-Un, che mette insieme lo sviluppo militare-missilistico e quello economico, rendendoli interdipendenti. Quindi, stabilizzata la difesa nazionale, la Corea del Nord vuole trattare simultaneamente con gli Usa e la repubblica del Sud. C’era stato, qualche mese fa, un “lancio” diplomatico verso Washington, ma non ci sono stati risultati. Il “ramo d’olivo” alla Corea del Sud è stato invece immediatamente raccolto. Già il viaggio della sorella minore di Kim e del capo di Stato formale della Corea Democratica, Kim Yong Nam, verso Sud è avvenuto, potente simbolo di una nuova linea di Pyongyang, con una successiva visita di alcuni dirigenti di Seoul al Nord, ricevuti proprio da Kim Jong-Un in persona. Cosa che accade molto di rado. Una prima ipotesi: i nordcoreani vogliono sospendere i test N e missilistici per un certo periodo di tempo, e intendono utilizzare questo tempo per migliorare le relazioni con il Sud. Da ciò deriva che il Nord potrebbe non essere interessato a un completo disarmo del proprio Paese e della penisola. Ma la Cina potrebbe avere successivamente un ruolo determinante nelle trattative intercoreane. Se, infatti, il processo di dialogo tra le due Coree e tra il Nord e gli Usa procedesse sufficientemente a lungo, la Cina potrebbe proporre, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, una risoluzione tesa a togliere almeno alcune delle sanzioni alla Corea del Nord.

La Risoluzione potrebbe essere rifiutata dagli Usa e, magari, da Francia e Gran Bretagna, ma questo permetterebbe alla Cina di riaprire unilateralmente i propri mercati verso Pyongyang, accettando poi di fare da intermediario per altri Paesi che vogliano commerciare con il Nord della Corea. La Federazione Russa seguirebbe di conserva le operazioni cinesi. In questo caso, la Corea del Sud avrebbe due scelte davanti: o chiudere definitivamente la zona economica di Kaesong, oppure accettare la proposta della Cina, che sarebbe sicuramente molto, molto allettante dal punto di vista economico. Gli Usa, in questo caso, non potrebbero fare molto oltre a una pressione militare e politica su Seoul. Altra ipotesi: la Corea del Sud potrebbe non voler andare oltre il limite delle attuali sanzioni contro il Nord. E Pechino non mostrerebbe alcuna reazione. Quindi, di conseguenza, avremmo la riattivazione completa del programma missilistico e nucleare di Pyongyang, con reazioni eguali e contrarie degli Stati Uniti. La Corea del Sud deve però stare attenta, perché la tensione militare potrebbe bloccare anche il suo sviluppo economico, non solo quello del Nord. Se invece la trattativa tra Seoul e Pyongyang prospererà, allora questo vorrà dire, per gli Stati Uniti, un ripensamento radicale della propria presenza militare e strategica in Asia, dal sostegno a Taiwan fino all’accettazione di una riunificazione coreana sotto gli auspici della Cina popolare.  Gli Usa, pertanto, dovrebbero prendere parte attiva alle trattative bilaterali coreane, senza chiusure preconcette verso Pyongyang che, se nuova amica degli Usa, potrebbe influenzare in direzione filoamericana anche le politiche cinesi e russe. Il vero pericolo, per Washington, è la proliferazione. Come ha detto recentemente Kissinger, “se la Corea del Nord ha il nucleare militare, altri Paesi lo cercheranno e lo raggiungeranno molto facilmente”.

Per gli Usa, il pericolo vero è una massa di piccoli Paesi con armi N tali da interdire il passaggio statunitense, sia militare che commerciale, da alcune importantissime aree, che potrebbero essere negate ai rapporti con gli Usa. Ciò significherebbe la fine del potere globale nordamericano. Per questo motivo Washington ha sempre, quasi ossessivamente, contrastato la proliferazione nucleare fuori dal tradizionale contesto Cina-Russia-India-Pakistan-Usa. Se, quindi, la trattativa sul congelamento del nucleare nordcoreano andasse a buon fine, gli Stati Uniti guadagnerebbero un diritto di passaggio libero e incontrollato verso il Sud-Est asiatico e gli Stretti di Malacca, ancora essenziali per il mercato-mondo e il controllo militare e informativo di tutto il Pacifico del Sud. Saprà Washington utilizzare ogni aspetto delle trattative tra Nord e Sud Corea, che presto si estenderanno agli Usa? E che ruolo avrà il mantenimento selettivo delle sanzioni, oppure il loro toglimento, con successive trattative economiche tra gli Usa, la Cina e la Russia? Per ora, le previsioni sono incerte, a parte la evidente buona volontà di entrambe le Coree.

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