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L’Italia, gli Stati Uniti e la Nato. Parla l’ambasciatore Usa Eisenberg

Peace through strenght. Uno dei motti preferiti del Presidente americano Donald Trump, che lo ha voluto incastonare nella Strategia per la sicurezza nazionale, riecheggia nell’auditorium dell’Accademia dei Lincei, scandito a più riprese dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Lewis Eisenberg. L’occasione sono i 70 anni dalla battaglia elettorale del 1948, celebrati giovedì ai Lincei dalla Fondazione De Gasperi con un evento che ha visto fra i relatori e gli ospiti in platea una folta rappresentanza del corpo diplomatico estero, accorso al richiamo del ministro degli Esteri Angelino Alfano.

Ma il discorso dell’ambasciatore americano, repubblicano moderato, finanziere di lungo corso e amico intimo del Presidente, ha solo sfiorato la storia di quel 18 aprile, quando “il popolo italiano ha confermato il suo attaccamento all’Alleanza Atlantica” con “un voto storico”, per entrare rapidamente nell’attualità, perché, ha spiegato Eisenberg parafrasando il poeta Wallace Stevens, “tutta la storia è storia moderna”. E allora il settantenario dall’exploit elettorale della Dc degasperiana diviene occasione per tirare le fila dell’alleanza fra le due sponde dell’Atlantico, per interrogarsi sull’amicizia fra Washington e Roma all’indomani di una lunga campagna elettorale, quella per il 4 marzo, che ha lasciato troppo poco spazio alla politica estera del Paese.

Un legame che tocca nel profondo la vita dell’ambasciatore. “Centinaia di soldati americani riposano nel cimitero militare di Firenze, molti altri ancora mancano all’appello” racconta Eisenberg rendendo onore ai connazionali caduti nella Seconda guerra mondiale. “Fino a tre giorni fa mio zio, il fratello minore di mia madre, era uno di questi. Ho saputo ora che è stato trovato”.

La prima pietra posata a ricostruire le relazioni fra Washington e Roma fu il Piano Marshall, di cui quest’anno ricorrono i 70 anni. Un piano che non fu diretto “contro uno Stato o una dottrina, ma contro la fame, la povertà, la disperazione, il caos” ricorda il diplomatico citando l’allora Segretario di Stato. Poi un anno dopo l’entrata dell’Italia nell’Alleanza Atlantica, che De Gasperi perseguì con tutte le sue forze, affrontando fino allo stremo delle energie sedute parlamentari interminabili e non di rado scadute nella violenza fisica.

Oggi l’articolo 5 del Trattato richiama gli Alleati al dovere di solidarietà e intervento militare contro aggressioni esterne, “alla difesa collettiva per preservare la pace e la sicurezza”. “Truman diceva: speriamo di costruire uno scudo contro l’aggressione e contro la paura di un’aggressione. L’articolo 5 è l’acciaio di cui è fatto quello scudo” chiosa Eisenberg con orgoglio. Una sola volta è stato messo in moto il meccanismo dell’articolo 5: quando il mondo assistette ammutolito all’attacco terroristico contro le Twin Towers di New York l’11 settembre del 2001. Eisenberg, allora presidente della Porth Authority of New York and New Jersey, l’agenzia pubblica che controllava il World Trade Center, quella mattina doveva stare nel suo ufficio all’ombra delle Torri Gemelle, a dirigere il lavoro di migliaia di colleghi e dipendenti che non avrebbe più rivisto. “Non avrei avuto l’onore di sedermi qui se il traffico non mi avesse impedito di raggiungere l’ufficio” ricorda l’ambasciatore con un moto di commozione. Per poi ribadire la promessa fatta da Trump: “Non dimenticheremo mai le vite che furono perdute, non abbandoneremo mai gli amici che sono stati al nostro fianco”.

Ma i ricordi non bastano. Per far sì che l’Alleanza Atlantica resti viva oggi e sia all’altezza “delle nuove minacce transnazionali e del terrorismo internazionale”. Eisenberg ha un’idea chiara di quali sono gli avversari con cui gli Stati Uniti si confrontano oggi: “Una Russia revisionista che invade i suoi vicini, sostiene regimi ostili, e lavora per corrodere da dentro le società occidentali”. Non meno severo il giudizio sulla Cina di Xi Jinping, un Paese “che punta ad espandere la sua sfera di influenza attraverso la pressione militare sui vicini e perpetua squilibri pericolosi nell’economia internazionale”.

Bisogna allora sostenere insieme la Nato per far fronte a queste minacce, ricordando che “la forza della Nato è basata anche su un impegno condiviso”. L’ambasciatore fa eco a Trump quando elenca gli sforzi finanziari sostenuti da Washington per garantire la sicurezza in Europa, ricordando che gli Stati Uniti hanno stanziato “più di 11 miliardi di dollari nel 2017 per l’Iniziativa di Deterrenza Europea (Edi)” e hanno fornito “armi di Difesa alla Georgia e all’Ucraina”. Per non parlare delle truppe statunitensi nella Nato stanziate in Polonia “per scoraggiare l’aggressione russa”.

Serve allora un maggiore impegno di risorse finanziarie dei Paesi europei a sostegno dell’Alleanza Atlantica. “Accogliamo con favore gli sforzi dell’Unione Europea per rafforzare la sua Difesa e la cooperazione con la Nato” puntualizza Eisenberg. Che però aggiunge un “imperativo” per Washington: evitare a qualunque costo “una duplicazione della Nato”.

All’Italia va una menzione d’onore speciale. Non solo perché lo stivale ospita “30mila soldati americani e personale civile con le loro famiglie, il secondo per numero in Europa”. Ma anche per la “leadership italiana nei Balcani” e il suo impegno in prima linea su fronti caldi come Iraq e Afghanistan, e missioni strategiche come quella di air policing con la Nato in Lettonia. Un plauso in particolare va all’Arma dei Carabinieri e all’Esercito italiano per aver addestrato i soldati iracheni all’interno della Coalizione anti-Isis. E un ringraziamento infine al governo italiano per ospitare l’Hub per il Sud della Nato diretto dall’ammiraglio James Foggo. Il centro di Lago Patria, non lontano da Napoli, “fornisce alla Nato i mezzi per contrastare le minacce complesse che provengono dalla frontiera a Sud dell’Europa”. E, ha chiarito l’ambasciatore più volte all’Accademia dei Lincei, “un’Europa forte e libera è di vitale importanza per noi”.

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