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Gli italiani non sono filorussi ma favorevoli alla Nato. Parla Risso (Swg)

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L’aggravarsi della crisi siriana, l’ennesimo episodio di uso di armi chimiche e l’attacco di Usa, Francia e Gran Bretagna hanno ricordato improvvisamente agli italiani dell’importanza che riveste la politica estera e, ai politici nazionali, di quanto essa conti anche per gli equilibri interni. La guerra in Siria ha visto i cittadini e i leader politici italiani schierarsi per il non-intervento. Tuttavia, e questo è il dato più interessante, nel dibattito pubblico sull’attuale scenario mediorientale si osserva la crescente affermazione di un sentimento antiamericano e di una crescente vicinanza dell’opinione pubblica alla Russia e in particolare alla figura di Putin. Per capirne di più sull’approccio degli italiani alla politica estera Formiche.net ha intervistato Enzo Risso, direttore scientifico di Swg e docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Macerata.

Dottor Risso, dal vostro sondaggio sui raid in Siria emerge che gli italiani disapprovano l’intervento degli alleati in risposta all’utilizzo di armi chimiche e addirittura lo bollano come un’”aggressione illecita”. Quanto conta il dilagare di un certo sentimento filo-russo in Europa e nel nostro Paese nell’approccio degli italiani alla crisi siriana?

Questo sentimento degli italiani è legato innanzitutto all’idea che con la guerra e con le armi non si ottiene la pace. Questo è il risultato di un bilancio che fanno gli italiani degli ultimi 20/25 anni, dall’invasione russa in Afghanistan in poi. Gli interventi delle grandi potenze non risolvono i problemi, ma spesso ne hanno creati di nuovi. In Iraq (invaso dagli Usa nel 2003 n.d.r.) la situazione è tuttora molto destabilizzata, non a caso infatti l’Isis ha trovato in quel luogo terreno fertile. In Libia e Afghanistan anche. Nella scena mediorientale, in generale, gli italiani non ritengono necessario un intervento armato. Non è un caso che agli italiani sia piaciuta l’affermazione di Matteo Salvini, che ha detto “stiamo ancora cercando le armi chimiche di Saddam”. Gli italiani non credono più alle grida di allarme e ai famosi missili intelligenti, le guerre hanno prodotto scie di sangue. L’altra affermazione che ha scuscitato interesse è quella di Fassino, il quale esprime il massimo impegno politico e diplomatico. L’opinione pubblica vede l’impotenza nell’uso delle armi, specialmente in quello scenario.

Però anche alla domanda se sia giusto imporre sanzioni aggiuntive contro Mosca perché indirettamente complice per l’uso di armi chimiche da parte del Regime di Assad gli italiani hanno risposto di no…

Gli italiani non sono filorussi, sono favorevoli alla Nato. Tuttavia, gli Usa sotto la presidenza Trump hanno perso la capacità di essere il simbolo della democrazia occidentale. Le guerre commerciali e il pericolo dei dazi anche per gli alleati generano in Europa la sensazione che gli Usa usino la loro forza per piegare il mondo ai loro interessi. La contrarietà alle sanzioni russe è la contrarietà al predominio americano e trumpista e l’esigenza di avere un multilateralismo negli equilibri politici. È una visione onusiana, che corrisponde al desiderio di uno spazio dove le questioni si risolvano in modo equilibrato e pacifico, non con scontri e sanzioni. Il no alle sanzioni è il no alla destabilizzazione dell’ordine mondiale.

Anche se quelle sanzioni sono state imposte dopo l’intervento russo in Ucraina, che certo alla stabilità internazionale non ha contribuito. In ogni caso, alcune forze politiche sembrano abbiano assurto Putin a modello di leader politico e uomo forte in grado di guidare la nazione in momenti di difficoltà. È una strategia che paga?

Partirei dai numeri. Se noi confrontiamo il grado di simpatia e fiducia da parte degli italiani nei leader del mondo, scopriamo che la prima è la Angela Merkel con il 43%, che sale del 15% rispetto a Luglio, il secondo è Vladimir Putin al 34%, stabile rispetto allo scorso anno, quando era al 33%. Terzo troviamo Macron al 28%, quarta Theresa May al 24%. Donal Trump è solo al quinto posto, con il 22%, appena sopra Xi Jinping al 17%. Merkel è prima perché rappresenta la stabilità. È vero, l’uomo forte, Putin, è al secondo posto e trova le simpatie di un terzo degli italiani. Trump è molto basso in classifica. Lo scontro con Trump lo vince il leader russo, che però non è un modello. È al 30%, non al 70%. Il suo risultato è frutto più dei demeriti americani che dei meriti di Putin.

Il successo delle figure che rappresentano la stabilità si deve all’onda lunga della crisi economica, che genera ansia e insicurezza percepita?

Esatto, c’è questo, c’è il bisogno di riaprire una stagione di sviluppo e non distogliere risorse che ci sono. C’è paura che si chiudano mercati internazionali, per questo la contrarietà ai dazi. Il nostro Paese è un grande esportatore, vediamo finalmente la luce perché le esportazioni tirano. Il bisogno di stabilità è anche un bisogno di stabilità globale. Dal 2001 il tema guerra e terrorismo ha accompagnato un’intera generazione. L’onda lunga di instabilità internazionale alimenta le sensazioni di paura e fastidio. Lo si vede anche su conflitto arabo-israeliano, dove maggioranza vorrebbe che finiscano le tensioni sulla striscia di Gaza e finalmente si raggiunga un accordo che chiuda le ostilità.

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