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La resa di Di Maio (nelle mani di Salvini). La Lega fa l’asso pigliatutto

Spareggio o tempi supplementari? Voto subito o governo di transizione? La tracotanza del 5 marzo dopo quasi due mesi di melina e giochi tattici alquanto modesti giunge ad un primo capolinea. A farne le spese è, per ora, il giovane leader del Movimento 5 Stelle le cui mosse – a partire dal veto contro Silvio Berlusconi – si sono rivelate effimere, quando non ingenue. Se è vero che Renzi ha fatto in modo esemplare la parte del marito che vuole fare dispetto alla moglie, quello che conta è il risultato finale che è la certificazione definitiva che la politica dei forni è clamorosamente fallita. E a Di Maio – ora nel mirino esplicito di Beppe Grillo e dei movimentisti a 5 stelle – tocca ricorrere a Facebook esprimere quello che sembra tanto un grido disperato. “Qui stanno cercando in tutti i modi fermare per un governo di cambiamento per i loro sporchi interessi. A questo punto non c’è altra soluzione: bisogna tornare al voto” al più presto, “a giugno”. “In ogni caso deciderà il Presidente della Repubblica”. Infine, la resa si fa ancora più drammatica perché colui che avrebbe voluto guidare il governo si consegna, mani e piedi, al “suo” alleato (amico?) che è anche il suo principale competitor. “Lo dico a Salvini: andiamo a chiedere di votare, facciamo scegliere ai cittadini tra rivoluzione e restaurazione”.

Solo le prossime ore potranno dirci se, e in che modo, il leader della Lega asseconderà l’appello pentastellato. Che Salvini aspirasse dall’inizio a un ritorno rapido alle urne era noto e semmai era il capo dei 5 stelle che voleva in tutti i modi provare la presa di Palazzo Chigi. Ora il gran capo leghista può presentarsi al Quirinale con la doppia opzione: un governo (di minoranza?) con Forza Italia oppure il voto anticipato. Ovviamente nessuno spiraglio per nessun tipo di esecutivo “ibrido”. Le stelle sembrano tutte quadrare attorno alla figura del leader leghista che forse mai si sarebbe sognato di avere un così grande sostegno da un partito che vale (valeva) quasi il doppio del suo.

L’infatuazione politica di Di Maio per Salvini in nome del cambiamento è una delle manifestazioni di autolesionismo che potrà essere oggetto di più di una ricerca di psico-politica. Tant’è. Ora che le squadre hanno tutte tirato la palla sugli spalti, cosa farà l’arbitro? Nel frattempo, Di Maio si lecca le ferite e Salvini si lecca i baffi. Erano i due vincitori. Ne resta uno solo.

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