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Sovranismo e multiculturalismo. Il connubio possibile secondo Lopez, prof. Usa

Multiculturalismo

L’integrazione degli immigrati nella società è oramai un tema all’ordine del giorno in gran parte dei Paesi occidentali. La scuola in questo gioca un ruolo determinante. È infatti in aula che spesso gli studenti stranieri hanno i primi contatti con gli autoctoni e con la cultura del Paese di destinazione.

Delle sfide che pone l’integrazione sui banchi di scuola si è parlato sabato 7 Aprile alla scuola primaria Carlo Pisacane, nel quartiere romano di Tor Pignattara. L’evento fa parte di un ciclo di conferenze, che dal 4 al 9 aprile vedono coinvolte anche Padova, Milano, Firenze e Napoli, promosse dal Dipartimento di Stato americano e dall’Ambasciata americana a Roma. L’obiettivo è quello della diffusione delle best practices per quanto riguarda l’integrazione sui campi di scuola. Sempre nel quadro di questo progetto, un gruppo di insegnanti italiani è volato a inizio anno negli Usa, per vedere come affrontano le scuole statunitensi la sfida di integrare la percentuale, talvolta molto alta, di studenti ispanici nel sistema educativo americano. Dagli Usa è invece venuto in Italia il professor Gerardo Lopez, dell’Università dello Utah, dove è a capo del dipartimento di politica educativa e leadership. Il professore ha esposto i risultati della sua ricerca sull’integrazione degli studenti latino-americani negli Usa e ha dialogato con gli insegnanti della scuola. All’evento era presente anche l’ex ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer.

La scelta della scuola primaria Carlo Pisacane come sede di un evento sull’integrazione non è casuale. Sette anni fa infatti, la scuola rischiava di chiudere per mancanza di iscrizioni, egli insegnati dovevano fare i conti con classi con il 90% di presenza migrante e con la sempre più marcata riluttanza dei genitori italiani a iscrivere i propri figli.  La situazione è simile in tutte le grandi metropoli, nei quartieri dove la presenza degli stranieri è più marcata la tendenza è quella di creare delle scuole ghetto. A Milano, ad esempio, i dati dicono che un genitore su due non iscrive i figli alla scuola alla quale sarebbero territorialmente destinati e spesso preferisce la scuola privata alle strutture pubbliche. Il motivo? Classi più omogenee, alunni con lo stesso status sociale e percentuali bassissime di studenti stranieri, che, questo dice la vulgata più diffusa, tendono a danneggiare la performance degli italiani. Il risultato è che le scuole dei quartieri a più alta presenza straniera sono spesso evitate dai genitori italiani, e si ritrovano con classi composte quasi esclusivamente da immigrati. Insegnanti e genitori della Piscane però, non si sono arresi, e oggi la scuola è un esempio positivo di integrazione e valorizzazione delle diversità.

Alla fine della discussione, il prof. Lopez ci ha concesso un’intervista, nella quale abbiamo cercato di capire cosa gli Usa possono insegnare all’Italia in fatto di integrazione tra i banchi di scuola.

Professore, cosa può trarre l’Italia dall’esperienza degli Usa in fatto di integrazione a scuola?

 In italia ci sono molte sfide collegate all’immigrazione. Nel vostro Paese, l’immigrazione è un fenomeno relativamente nuovo. Gli Usa sono invece un Paese di migranti, abbiamo quindi a che fare con l’immigrazione da diverse centinaia di anni. In questi anni abbiamo imparato tanto, ancora fatichiamo, ma sicuramente possiamo condividere la nostra esperienza con i colleghi italiani e farne occasione di arricchimento reciproco.

Crede che le sfide poste dai flussi migratori che arrivano in Italia siano simili a quelle dei flussi che giungono negli Usa? L’immigrazione ispanica negli Usa è un fatto storico, mentre ora l’Italia e l’Europa hanno a che fare con immigrati con i quali il gap culturale è spesso più ampio.

L’immigrazione negli Usa come ho detto avviene da centinaia di anni. Abbiamo avuto per esempio immigrati italiani negli Usa. Incorporare gli immigrati, anche italiani, nella società, non è stato facile. Le comunità e le scuole avevano davanti una sfida molto difficile. La stessa sfida che avevamo di fronte con gli immigrati italiani cento anni fa oggi voi la avete con i nuovi arrivati. È sempre difficile avere a che fare con i nuovi immigrati, ma non vuol dire che sia impossibile. La società ha però bisogno della forza di volontà e dei mezzi per farlo.

 In Europa, e non solo, oggi l’immigrazione e l’integrazione sono dei temi politicamente molto caldo. È a scuola che i nuovi arrivati devono cominciare a integrarsi?

 L’integrazione a scuola è il punto chiave, può servire a far sentire le persone parte della comunità e parte della società. In questo le scuole sono un punto di ingresso di importanza critica per far sentire gli stranieri a casa.

Chi nasce negli Usa è automaticamente cittadino americano. In Italia abbiamo discusso molto sullo Ius soli ma alla fine il parlamento non ha approvato la legge. Pensa che sia un provvedimento necessario per una politica efficace dell’integrazione?

Non posso ovviamente dire cosa sarebbe giusto per l’Italia, solo gli italiani lo sanno. Tuttavia, quello che è certo è che se qualunque Paese fa in modo che una qualunque minoranza non si senta parte della società, si crea l’opportunità perché essi si sentano alienati, degli outsiders, e perché poi si rivolgano contro quella società da cui si sentono respinti. È nell’interesse di ogni Paese lavorare per rendere gli immigrati parte integrante della società. Se vogliamo mettere gli Usa first, l’Italia first o la Francia first, dobbiamo iniziare a pensare in modo multiculturale, è nel nostro stesso interesse.

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