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Il Pd ad un doppio bivio: governo e nuovo segretario

Il Partito democratico prova a ripartire. Lo fa in un assolato sabato d’aprile, con due eventi. Il primo si svolge all’acquario romano, l’Harambee animato da Matteo Richetti; il secondo a poche centinaia di metri, è organizzato dall’opposizione interna, dal ministro Andrea Orlando: Sinistra Anno Zero.

Prove generali dell’assemblea del 21 Aprile, che dovrebbe iniziare a chiarire la situazione, sempre più caotica, dei democratici. Una stasi quella dei dem che va avanti da oltre un mese, e che rischia in tempi brevissimi di trasformarsi in una sorta di maionese impazzita, con molti deputati impegnati a dichiarare tutto e il contrario di tutto.

All’acquario romano, luogo dove si consumò la “non vittoria” di Pier Luigi Bersani nel 2013 e stracolmo per l’evento organizzato dal portavoce della segreteria dem, ci sono tante persone giunte da molte parti d’Italia, con prevalenza di presenze dall’Emilia Romagna. Tutti guidati dai “luogotenenti” di Richetti sul territorio: il deputato europeo Damiano Zoffoli, l’ex consigliere regionale Beppe Pagani, il sindaco di Faenza Giovanni Malpezzi, Manuela Rontini eletta nel consiglio regionale in Emilia Romagna.

Non mancano i deputati “renziani”, da Andrea Romano, a Simona Malpezzi, la “lottiana” Alessia Rotta, la iper renziana Alessia Morani, Davide Ermini, e il neoeletto Luigi Marattin, senza dimenticare il ministro Marianna Madia. In seguito sono arrivati anche Gianni Cuperlo e il segretario Maurizio Martina, che però non ha preso la parola davanti alla platea.

C’è tanta voglia di discutere, di far ripartire il Pd, di far rivivere quel sogno riformista animato da Matteo Renzi nel 2012, ma la realtà di oggi racconta di un partito ancora alle prese con la più grande batosta elettorale della sua storia. E molto più che agli afflati riformisti il Pd sembra alle prese con due questioni più stringenti: l’assemblea nazionale di fine aprile e le consultazioni per il nuovo governo. L’intervista di Luigi Di Maio a Repubblica, nella quale il capo politico del M5S invita il Pd a sotterrare l’ascia di guerra, trova sponda in un tweet di Dario Franceschini. Il ministro della cultura invita il suo partito a valutare quella che definisce una “novità politica”; ma quasi tutto il partito chiude al M5S e alla sollecitazione del ministro. «Soltanto Emiliano e Franceschini – ci dice un deputato vicino a Matteo Renzi – considerano possibile un governo con il M5S, e lo stesso ministro della cultura lo fa più in un’ottica di un esecutivo che veda tutte le forze politiche insieme». Lo stesso Richetti, parlando con i giornalisti ad Harambee conclusa, chiude al M5S, anche se evita di rispondere direttamente a Franceschini «E’ difficile rispondere ad un tweet – afferma – ma io non ho ancora capito la proposta del M5S, vedo solo dei titoli forniti da Di Maio».

Il vero nodo in casa dem comunque riguarda l’assemblea nazionale di fine aprile, nella quale si deciderà il futuro prossimo del Pd. Il bivio sembra essere tra un reggente eletto in assemblea per un periodo di circa un anno, e un nuovo congresso da tenersi in tempi brevissimi. Uno scenario, quest’ultimo, che tutti sembrano voler scongiurare. «L’assemblea serve a darci un percorso, altrimenti rischiamo di andare in ordine sparso» ci spiega il nostro interlocutore renziano, che però sostiene che Martina abbia commesso un errore grave. «Maurizio ha sbagliato a candidarsi, in questo modo non solo autorizza altri a farlo, ma crea una maggioranza e un’opposizione, quando dovrebbe essere invece un uomo frutto di una mediazione, un punto di equilibrio tra le varie anime del Pd». «La verità è che in questo momento il miglior alleato di Martina è proprio Renzi – ci spiega un’altra fonte – perché gli uomini più vicini al segretario sarebbero già partiti all’assalto». C’è un altro elemento che gioca a favore della conferma di Martina: qualsiasi candidato scelto dal segretario rischia di spaccare il partito. Andare alla conta in assemblea, conta che comunque Renzi ad oggi vincerebbe, produrrebbe un’ulteriore frattura nel Pd, cosa che i democratici proprio non si possono permettere in questo momento. Meglio dunque darsi un po’ di tempo per riorganizzarsi, per costruire un percorso che si concluda con un congresso, magari in autunno, o al massimo all’inizio del 2019.

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