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Andreotti tra fedeltà atlantica e mediterraneo

Di Andrea Riccardi

“Andreotti d’Arabia”: è un’espressione d’ironia e critica sulla sua capacità mediativa e sul suo filoarabismo. “Giulio d’Arabia”: così titola “Panorama” nel 1983, ricordando come –per il governo Craxi, ad agosto 1983- alcuni avrebbero preferito agli Esteri, ad Andreotti, Spadolini filoisraeliano.

Riflettere – come facciamo a cinque anni dalla sua scomparsa – sulla visione mediorientale di “Giulio d’Arabia” è un debito verso di lui. In Siria tanti sono morti e molti scomparsi: alcuni amici, come Paolo Dall’Oglio, gesuita, inghiottito nel niente o Gregorios Ibrahim, vescovo siriaco di Aleppo, figura ecumenica, non più tornato da una missione umanitaria. Un paese intero divorato dalla guerra e –come dice Domenico Quirico- non si vede più un bambino sorridere. Le immagini dei droni mostrano Aleppo atterrata: i quartieri periferici e quelli storici. Si è colpita la città della convivenza in cui le religioni si connettevano a una cultura millenaria. Hanno distrutto persino il minareto della moschea degli Omayyaddi, con dieci secoli di storia.

LA SIRIA NEL 1982

Andreotti individuò nella Siria un interlocutore decisivo per il Medio Oriente. Nel 1979, con la rivoluzione di Khomeini, Assad trovò un alleato nel nuovo potere iraniano che appoggiò poi nel conflitto con l’Irak (sperava nella caduta di Saddam). Intermediario con Khomeini fu l’imam Musa al Sadr, pur scomparso nell’agosto 1978. Guida degli sciiti libanesi, aiutò Assad nel 1973 con una fatwa, dichiarandolo abile alla presidenza come musulmano, benché alawita. L’imam guidò gli sciiti libanesi all’alleanza con la Siria. Nel 1979, scomparve misteriosamente in Libia. Significativamente nell’archivio Andreotti si trova un grosso dossier, anche carte processuali, su questa figura, che lo interessava molto.

Gli sciiti libanesi, umiliati dall’alleanza tra cristiani e sunniti, i veri padroni del paese, conobbero il riscatto grazie a Moussa Sadr e all’estesa rete socio-educativa da lui organizzata. Così le masse sciite in Libano, povere e contadine, si avviarono a essere protagoniste. Nel 1982 nacque Hezbollah, unica forza armata non statale libanese oggi, prezioso alleato della Siria. Il Libano, detto la “Svizzera del Medio Oriente”, era segnato da gravi diseguaglianze, senza politica sociale e sanità pubblica, dominato dal confessionalismo e dai clan. Il vescovo melkita, Grégoire Haddad, segnalò il dramma sociale del paese, fondando il Movimento sociale libanese con sei persone di confessione diversa. Accusato di deviazioni dottrinali, fu assolto dalla Santa Sede, ma deposto dal suo patriarca Maximos V Hakim.
Proprio nel 1982, sul fragile terreno libanese (con 300.000 profughi palestinesi), avviene lo scontro tra Siria e Israele. In realtà la Siria, dal 1920, mai aveva accettato l’indipendenza libanese e la perdita di terre siriane. Assad rilanciò la grande Siria. Appare un paradosso, ma nel 1975 sono stati i cristiani (specie maroniti), sotto la pressione dei palestinesi e di altre forze, a allearsi con le truppe di Assad in Libano. Questi stanziò nella valle della Bekaa una rete di missili Sam. Israele si sentiva minacciato dai siriani e di palestinesi contro la Galilea.

Il premier israeliano Begin trovò un alleato nel leader libanese maronita Bashir Gamayel, capo delle forze falangiste, fondate dal padre Pierre nel 1937 probabilmente su modello del fascismo, destinato alla presidenza della Repubblica (sempre assegnata a un maronita). Begin intervenne in Libano, forte dell’alleanza con falangisti e maroniti. Il controllo israeliano sul Libano intendeva avvalersi di uno Stato cuscinetto cristiano filoisraeliano, allontanando siriani e palestinesi. Ma la cantonizzazione confessionale era inaccettabile dalla maggioranza dei libanesi. Il 1982 è un anno drammatico, in cui si rischia lo scontro campale tra siriani e israeliani. Lo impedisce la mediazione americana –il presidente è Reagan- che Assad considera esageratamente favorevole a Begin.

L’operazione “Pace in Galilea” porta gli israeliani fino a Beirut e a distruggere i Sam siriani nella Bekaa. Aerei israeliani e siriani si battono nel cielo libanese. Assad vola a Mosca, dove Breznev è malato, e chiede l’intervento dell’URSS, che si risolve nella fornitura di nuove armi e in un passo equilibratore nei confronti d’Israele. Si coglie qui una convinzione di lungo periodo di Assad (trasmessa al figlio): per fronteggiare Israele, in assenza di solidarietà araba, è necessario uno stretto rapporto tra Mosca e Damasco. Un giorno –mi ha raccontato Andreotti- Assad gli disse: “Mi accusano di collaborare con i sovietici, ma anche gli occidentali, per battere Hitler, si sono alleati con Mosca…”. [Lo stesso disse ad Andreotti nel 1983 il vicepresidente Khaddam: il rapporto con l’URSS “non implica asservimento alcuno alle tesi sovietiche, allo stesso modo che l’alleanza russo-americana della II guerra mondiale era dettata da esigenze militari e non rappresentava un riavvicinamento ideologico”.]

La Siria è alleato fedele di Mosca. E’ stato illusorio credere che il paese potesse scivolare fuori dall’orbita russa, quando resta l’unico paese costiero su cui Mosca può appoggiarsi sul Mediterraneo. Però, Assad non era alla testa di un governo fantoccio di Mosca, come gli americani riconoscono fin dal 1983. [Anzi, allora, i servizi americani –così viene detto alla Farnesina- hanno la sensazione che il rapporto Damasco-Mosca non sia così scontato.] L’autonomia siriana è una convinzione su cui Andreotti basa la sua politica con Damasco.

Per completare la ricostruzione del tragico 1982, va ricordato che gli israeliani arrivarono a Beirut e Gemayel “ripulì” i sobborghi della capitale dalla presenza dell’OLP di Arafat. Gemayel fu eletto presidente nell’agosto 1982 e sarebbe entrato in carica un mese dopo, se un attentato non lo avesse ucciso nella sede del partito falangista, opera –pare- di una figura vicina ai siriani. La conseguenza dell’attentato fu la strage dei palestinesi nel campo di Sabra e Chatila, condotta dai falangisti, protetti dalle truppe israeliane: un migliaio di morti: donne, uomini e bambini. Ho visitato quei campi, un mese dopo le stragi, e ricordo un drammatico spettacolo di distruzioni e dolore. Intanto gli israeliani entrarono a Beirut per colpire i palestinesi. Gli armati dell’OLP e Arafat furono costretti a lasciare il Libano. Il parlamento libanese elesse alla presidenza Amin Gemayel, fratello dello scomparso.

Il 1982 è duro per Assad, con le truppe israeliane in Libano a 28 km da Damasco. Assad reagì favorendo la formazione delle milizie sciite libanesi, ostili a un regime maronita, sorrette dal mito dell’ayatollah Khomeini, facendo entrare in Libano tramite la Siria un primo gruppo di 2000 iraniani. Era un modo per battere l’isolamento.

Nell’instabile Libano, tra 1982 e 1984, con Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, l’Italia inviò una missione militare, una svolta nel ruolo delle forze armate per la pace (si ricordi la popolarità del generale Angioni). Il buon rapporto con le varie milizie, che colpirono duramente gli altri partecipanti alla missione, fu un test della capacità italiana sul terreno, favorita dalla creazione di un ospedale da campo vicino all’aeroporto di Beirut, in cui si curavano i feriti di ogni appartenenza. Andreotti sostenne questa missione con convinzione.

ANDREOTTI A DAMASCO

Con la prima visita a Damasco, Andreotti iniziò il rapporto diretto con Assad. Ci furono quattro incontri: 1982, 1983, 1988, 1995. Non mancarono lettere personali, come per la morte del figlio Bassel. [Interlocutore costante fu Mosen Bilal, presidente della commissione esteri, mentre costanti furono gli incontri con Khaddam, ministro degli esteri e poi vicepresidente, e il successore agli esteri.] Già sulla rivista andreottiana “Concretezza” erano apparsi negli anni Settanta articoli su Siria, Libano, Medio Oriente, dialogo islamo-cristiano ed ebraico-cristiano. Nel 1976, si ribadì che la guerra libanese non era tra cristiani e musulmani, come invece diceva molta stampa europea. Su “Trenta Giorni” avrebbe continuato questi interessi.

Prima di conoscere Assad, il presidente già coltivava canali personali. Nel settembre 1982 incontrò, a Sant’Egidio, il patriarca melkita Maximos V, personalità filosiriana. Andreotti lo utilizzò come messaggero con il potere siriano, come nel 1983, quando inviò suo tramite una lettera a Khaddam, dicendosi “testimone e ammiratore” dell’intelligenza del prelato e del suo amore per Siria e Libano. Hakim vedeva l’uccisione di Gemayel come ritorsione d’Israele perché il leader si allontanava dalla sua influenza. Andreotti gli confidò di conoscere Begin da quando era ministro della difesa, perché gestiva intese segrete con lui, capo di Stato maggiore israeliano, su questioni militari. Non lo considerava credibile: sperava invece in Peres. Sia Andreotti che Maximos erano favorevoli al piano Reagan (settembre 1982), che a loro avviso concedeva almeno una homeland ai palestinesi e la cittadinanza anche se in diaspora. Andreotti utilizzava i contatti con i religiosi cattolici per informarsi: così con il patriarca maronita Sfeir, cattolico come Hakim, ma tanto antisiriano da non mettere piede in Siria.

Per lo statista, il pluralismo religioso in Siria era una ricchezza. Assad, che veniva dalla minoranza alawita (900.000 circa) e dal partito laico Ba’th, era una garanzia per cristiani (circa 800.000) e drusi verso la maggioranza sunnita. Andreotti, nel 1982 a Damasco, non solo visitò Hakim, ma anche la piccola comunità ebraica. Nel 1982 gli ebrei in Siria erano circa 5000 dai 30.000 del 1948: molti erano emigrati dopo le manifestazioni antisemite e la nascita d’Israele. Spesso s’ignora che, dagli anni quaranta, la convivenza nel mondo arabo ha perso la sua millenaria componente ebraica, provocando un grande cambiamento. Tramite l’ebreo libico, Raffaello Fellah, Andreotti aveva contatti con gli ebrei del mondo arabo. Del resto in Siria sono stati ospitati alcuni criminali nazisti, come Alois Brunner, che hanno offerto il loro know how in materia di repressione o guerra. Il ministro della difesa, il sunnita Tlass, figura decisiva nel sistema di Assad, pubblicò un libello, The Matzah of Zion, su un presunto omicidio rituale di un bambino cristiano da parte degli ebrei damasceni nel 1840. Antisemitismo e antisionismo s’intrecciavano.

A Damasco nel 1982, Andreotti visitò gli ebrei, umiliati e controllati. A me –l’ho annotato- disse che, oltre l’ottimismo ufficiale, il responsabile gli fece capire gravi difficoltà. Tra l’altro c’erano problemi di matrimoni, non trovandosi giovani ebrei in Siria. In seguito, Andreotti ricevette dal rabbino Toaff un dossier sugli ebrei siriani con l’invito a occuparsene. Gli ebrei erano controllati individualmente dal Moukabarat, il servizio segreto, mentre un loro centro era istallato nel ghetto di Damasco e veniva dissuaso l’ingresso degli stranieri. Ricordo un agente in permanenza dentro un negozio ebraico alla moschea degli Omayaddi. Nel 1994 Andreotti scrisse a Assad per un soldato israeliano (forse Ron Arad) scomparso in Libano.

Il colloquio tra Andreotti e Assad nel 1982 pose la base della sua politica. Trovò Assad sfiduciato verso Stati Uniti, nostalgico di Kissinger che –egli disse- a differenza dei successori almeno manteneva la parola. Qui cominciò il lavorio di Andreotti convinto dell’errore d’isolare la Siria. Arafat, in pessimi rapporti con Assad lavorava in senso contrario: nel 1983 (dopo l’abbandono del Libano per la Tunisia) inviò un messaggio per isolare la Siria, tramite Pajetta. Andreotti parlava di questi problemi con i comunisti e con Craxi, in contatto con il leader druso Jumblatt. Il senatore faceva sua la formula di Kissinger: “se gli arabi non possono fare la guerra senza l’Egitto, non possono fare la pace senza la Siria”.

LE AMICIZIE (PERICOLOSE)

Per Andreotti, anche l’OLP andava coinvolto. Nel settembre 1982, invitò Arafat a rivolgere un discorso all’assemblea dell’Unione Interparlamentare mondiale che si svolgeva nell’aula di Montecitorio. La visita romana si realizzò con il determinante contributo di esponenti del PCI, in particolare Bufalini, vicino ad Andreotti nella lettura delle vicende mediorientali e nella “romanità”. La presenza di Arafat a Roma voleva essere un modo per frenare la possibile radicalizzazione del frammentato mondo palestinese, fatto che Andreotti temeva. Nel 1982 era convinto di aperture nell’OLP, ma –scrive a Khaddam un anno dopo con l’abbandono palestinese del Libano- oggi l’OLP rischia il dominio di “fazioni massimalistiche”. Sa che i rapporti tra Assad e Arafat sono negativi, anche se la Siria sostiene ufficialmente che l’OLP debba essere parte della soluzione. E’ politica costante di Andreotti l’inclusione dell’OLP. Lo dice nel 1990 al presidente Bush: “evitare situazioni che escludano l’OLP dal processo di pace perché diversamente ci sarebbe il rischio di una ritorno alle condizioni di violenza pre-Algeri…”.

Giulio d’Arabia non coltiva “amicizie pericolose”, che trovano l’ostilità d’Israele, che sottolinea il terrorismo dell’OLP, o degli Stati Uniti? Andreotti è convinto che sia impossibile una soluzione alla crisi mediorientale senza coinvolgere tutti i protagonisti: l’OLP e Israele per primi. E’ stato accusato di antisemitismo. Vorrei riportare la voce di Luciano Bassan, vecchio amico del presidente incontrato in Israele nel 1983: “Quanto alla tua politica estremamente antisraealiana, -gli disse- la capisco… noi non siamo che una piccolissima pedina di fronte al mondo arabo ricco, potente e violento”. Andreotti rispose di non essere mai stato antisemita o antisionista, anzi di aver partecipato a manifestazioni contro le leggi razziste del ’38: “Ho sempre ritenuto che la sicurezza d’Israele sia indiscutibile…”. Israele deve però cooperare a una “soluzione per i palestinesi” in una “piattaforma globale”.

Forse il problema che suscitava più polemiche è stato il legame tra la Siria e il terrorismo, di cui Andreotti è informato. Ritiene che, attraverso le pressioni sulla Siria, si possano controllare i terroristi. Lo stesso Gemayel gli chiede nel 1984 di “spingere se si può i siriani ad essere più attivi nell’impedire atti terroristici nelle zone occupate”. Preoccupa in particolare la presenza di Abu Nidal a Damasco, in rottura con Arafat, alla testa dell’Al Fath- Consiglio rivoluzionario, cui si collegano atti terroristici contro israeliani, occidentali e arabi moderati. Ad Abu Nidal è attribuito il crudele attentato alla sinagoga di Roma che uccise il piccolo Stefano Taché nel 1982. Poi quello a Fiumicino con tredici morti (simultaneo a uno a Vienna), in cui fu arrestato Khaled Ibrahim, che confessò al giudice Priore legami con Abu Nidal tramite servizi siriani [e il ruolo di El Khoury, capo servizi dell’aeronautica siriana].

La politica di Andreotti fu spingere la Siria alla rottura con Abu Nidal. Il terrorista non si era impegnato nel cosiddetto lodo Moro, a differenza delle fazioni palestinesi facenti capo a Arafat e Habbash, che –dopo gli atti terroristici a Fiumicino nel 1973- escludevano attentati in Italia, ricevendo possibilità di passaggio. Opposta è la posizione britannica sul terrorismo: mira a colpire la Siria come sponsor. Lo si vede nel caso Nezar Hindawi, giordano con passaporto di servizio siriano, che aveva spinto la fidanzata irlandese a prendere l’aereo a Londra per Tel Aviv con esplosivo nella valigia. Hidawi, in partenza per Damasco, fu arrestato. Gli inglesi esibirono le prove del coinvolgimento siriano e chiesero solidarietà europea. Hindawi fu condannato a 45 anni di prigione. Andreotti era critico sulla richiesta britannica di sanzioni alla Siria e nel 1986 disertò il consiglio europeo per partecipare alla preghiera interreligosa voluta da Giovanni Paolo II ad Assisi. Un segnale.

La Siria faceva il doppio gioco? Era la tesi inglese. Nel 1985, all’epoca del dirottamente della Achille Lauro da parte di terroristi di Abu Nidal, Assad accettò la proposta di Andreotti di accogliere in Siria la nave sequestrata dai palestinesi che uccisero crudelmente Leon Klingofher, ebreo americano. Gli americani si opposero. Andreotti ha narrato la vicenda in un suo libro, spiegando: “l’isolamento politico del commando avrebbe costituto l’arma per farlo arrendere”.

Nel 1987, Bilal assicurò Andreotti: “al minuscolo ufficio di Abu Nidal hanno tagliato il telefono, messo altri controlli attorno… è certamente innocuo… Ma Abu Nidal è attivo in Libano presso Sidone dove ha fatto molti proseliti ed ha in programma azioni di disturbo sulle truppe israeliane e filoisraeliane”. Nel 1987 i servizi britannici e italiani credono che l’ufficio Abu Nidal sia aperto a Damasco. Nello stesso anno, Andreotti non accettò la conferenza internazionale, proposta dalla Siria per definire il terrorismo. La lettera del ministro degli esteri siriano Shara trova freddezza in Italia per l’inaccettabile distinzione dei siriani tra terrorismo ammissibile (per la liberazione dei popoli) e terrorismo inaccettabile. Nel 1987 Andreotti insiste con Assad per “un gesto significativo che evidenzi il rifiuto dei metodi terroristici di persone e gruppi che con la loro azione dissennata, oltre che versare sangue innocente, finiscono per recare danno alla stessa causa…”. Sapere isolato Abu Nidal sarebbe per l’Italia un fatto di grande rilievo: così conclude.

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