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Corruzione, prescrizione, legittima difesa. Il contratto Lega-M5S letto da Annalisa Chirico

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“Sembra che l’impianto dell’intera sezione, dedicata alle cose giudiziarie e non solo, miri a una suggestione, più che a un programma di governo efficace”. Così Annalisa Chirico, giornalista del Foglio, esperta di cronaca giudiziaria e presidente del movimento “Fino a prova contraria-Until proven guilty” raggiunta da Formiche.net sul punto che riguarda la giustizia del contratto siglato da Lega e M5S per tentare di formare un governo.

A trent’anni dalla morte del giornalista Enzo Tortora, vittima di uno dei casi più eclatanti di malagiustizia, a cui il movimento di cui Chirico è presidente ha dedicato un ricordo nella giornata di oggi durante la quale ricorre proprio l’anniversario, i grovigli del settore giudiziario sono ancora molti e innescano dibattiti continui. Annalisa Chirico traccia un’analisi dei punti salienti resi noti nel contratto, dalla riforma del Csm alla legittima difesa domiciliare, al Daspo, ovvero il Divieto di accedere alle manifestazioni sportive, riportato nella Pubblica amministrazione per i casi di corruzione pubblica.

Il contratto menziona subito il Csm. “Il Consiglio Superiore della Magistratura deve operare in maniera quanto più indipendente da influenze politiche di potere interne o esterne. Sarà pertanto opportuno operare una revisione del sistema di elezione”. Cosa ne pensa di questa proposta?

Che il Csm sia governato da “logiche correntizie”, mi viene da dire: l’ho già sentita. Nella bozza non si fa cenno a come si possa riformare il sistema di elezione dei componenti dell’organo di autogoverno.

Per la legittima difesa domiciliare si richiede di togliere l’incertezza interpretativa “con riferimento in particolare alla valutazione della proporzionalità tra difesa e offesa che pregiudicano la piena tutela della persona che ha subito un’intrusione nella propria abitazione e nel proprio luogo di lavoro”. Cosa comporterebbe secondo lei questo passo?

È l’unico punto che mi trova d’accordo. Insieme alla lotta contro il bracconaggio (qui il contratto integrale).

Secondo lei è fattibile la riforma della prescrizione “per ottenere un processo giusto e tempestivo ed evitare che l’allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una denegata giustizia”, come si legge nel documento?

È un nonsense. Nel Paese con i processi tra i più lunghi d’Europa qualcuno ritiene che la soluzione sia il processo ad aeternum. Un favore ai colpevoli, uno schiaffo alle vittime. Va detto che anche l’ultimo governo ha esteso i termini della prescrizione per alcuni reati. È un tic demagogico che non risolve il problema, lo aggrava. Non dobbiamo fornire alibi per processi ancora più lenti e farraginosi. L’Italia ha bisogno di più efficienza e di più responsabilità organizzativa, a partire dai singoli uffici giudiziari.

Un nodo essenziale su cui si battono molti e su cui l’opinione pubblica è sensibile è la certezza della pena, e nel contratto vi è menzione. È davvero così? Nel senso è veramente un elemento su cui intervenire, un falso problema, o una questione su cui però agire diversamente?

Un sincero garantista che abbia a cuore lo Stato di diritto deve battersi per una pena certa ed effettiva. L’aleatorietà della condanna è una questione concreta, fotografa una disfunzione del sistema attuale. Nel contratto giallo-verde se ne fa cenno a mo’ di slogan, i toni sono tanto roboanti quanto vaghi. Del resto, mi sembra che l’impianto dell’intera sezione, dedicata alle cose giudiziarie e non solo, miri a una suggestione, più che a un programma di governo efficace. Il paradosso di un Pm che ha l’obbligo di arrestare in flagranza il ladruncolo, scarcerato un attimo dopo da un gip, richiede modifiche normative che nel contratto non sono neppure accennate.

Piuttosto si evoca il Daspo (sic) per corrotti e corruttori con interdizione perpetua dai pubblici uffici (una previsione a rischio di incostituzionalità).

A proposito di questo strumento, il Daspo, per restringere la corruzione nelle Pa. Cosa ne pensa?

Si menziona minacciosamente il “potenziamento” delle intercettazioni; si mira a introdurre l’agente provocatore, antico pallino di Piercamillo Davigo. L’agente provocatore, a differenza di quello infiltrato o sotto copertura, “crea”, attraverso una messa in scena, un reato che altrimenti non sarebbe commesso, e mette alla prova la tenuta morale del cittadino. Si tratta di un autentico incubo per chiunque ritenga che il compito della giustizia penale è punire chi ha commesso un reato, non chi sarebbe “propenso” a commetterlo.

La chiave di volta, per leghisti e pentastellati, è il carcere. Più pene per tutti. Magari fosse vero. Si chiama populismo penale la concezione della pena come panacea di ogni male. La verità è che spesso una sanzione civile e amministrativa si rivela più efficace e tempestiva, anzitutto nell’interesse della persona offesa. Invocare il processo penale contro ogni infrazione significa intasare i tribunali di migliaia di procedimenti inutili e costosi per l’intera collettività. Una giustizia efficiente esige un codice penale snello. Solo un “diritto penale minimo” – poche norme e chiare – garantisce la certezza della legge e limita la discrezionalità di chi è chiamato ad applicarla.

E sulla riforma della geografia giudiziaria? Nel contratto si dice che occorre una “rivisitazione”.

Si menziona la riforma della geografia giudiziaria, voluta dall’allora Guardasigilli Paola Severino nel 2012. Sarebbe un grave errore riaprire i tribunalini di provincia. Quella riforma ha reso più efficiente e ottimale la destinazione di risorse, contro la loro parcellizzazione e gli inevitabili sprechi. La geografia giudiziaria era ferma all’Unità d’Italia.

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