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La forza dell’inquetudine e quella particolare sintonia tra Bergoglio e Spadaro

Poco più di un anno fa Jorge Mario Bergoglio si rivolgeva agli scrittori de La Civiltà Cattolica raccomandandogli non quell’intransigenza cattolica che a lungo ha guidato il pensiero cattolico e la riflessione della rivista, dopo che il suo fondatore venne espulso dall’ordine dei gesuiti per aver abbandonato la fedeltà al temporalismo poco dopo la breccia di Porta Pia collegandosi alla nuova realtà, ma inquietudine, incompletezza, che vuol dire essere consapevoli che il proprio pensiero è incompleto, e immaginazione. Questo discorso epocale indica un metodo per la Chiesa conciliare, quella che con Paolo VI ha scelto di farsi dialogo, di rinunciare all’intransigenza che pretende di organizzare la vita sociale nel nome del bene, ma non solo per loro. Riguarda tutti, anche i cattolici scismatici, come quelli che usano la pillola, gli agnostici, i credenti in altre religioni, monoteiste o orientali. E riguardando anche loro diviene il metodo di tutti coloro che vogliono essere cittadini di un mondo nel quale vivere insieme. Così padre Antonio Spadaro, aprendo l’incontro di ieri, ha aiutato l’immaginazione di tutti ad andare oltre i propri stereotipi, che vedono in bianco e nero, mostrando le immagini dell’incontro tra il leader della Corea del Nord e il presidente della Corea del Sud che aveva avuto luogo poche ore prima, nonostante che dalla Casa Bianca fosse arrivato l’annuncio che il summit tra Donald e Kim era saltato. Chi lo avrebbe immaginato? L’arrivo a Seul di un nuovo nunzio che ha anche l’incarico di rappresentare il Vaticano in Mongolia, avamposto diplomatico sulla via di Pechino, aiuta a capire, ma certo l’immaginazione può aiutarci comunque a capire che non è Oriente contro Occidente la chiave d’accesso a una questione tra le più delicate dell’oggi. Ecco allora che la sottolineatura di padre Spadaro sul lessico bergogliano colpisce. Papa Francesco, ha ricordato il direttore de La Civiltà Cattolica, ha coniato un vocabolo che non esiste in spagnolo: balconear. È perfetto per definire chi resta in balcone, magari seduto con una bevanda fresca, a osservare il cammino, i fatti, la storia. La sua Chiesa invece, ha ricordato, è nel crocevia della storia. E quei crocevia si possono vivere solo permanendo inquieti, un’inquietudine che il pontefice spiega con Sant’Agostino, ma che un ex alunno dei gesuiti, Cartesio, ci aiuta a capire più direttamente con il suo “cogito ergo sum”: l’etimologia di quel “cogito”, per noi semplicemente pensare”, è “co-agitare”, quella agitazione che produce il pensiero, senza il quale non siamo. Chi non è inquieto non è, sembra dunque dirci Cartesio, dimostrando che aver studiato dai gesuiti aiuta anche se al tempo magari l’intrasigentismo la faceva da padrone. C’è una particolare sintonia tra Bergoglio e Spadaro? Forse sì, visto proprio ieri, nelle ore in cui il gesuita vestito di nero ricordava anche il valore di questo vocabolo coniato dal papa, lui, il gesuita vestito di bianco, lo ripeteva: “I giovani hanno la forza dell’inquietudine, del non conformismo… non lasciano che la storia si scriva là fuori, mentre loro guardano dalla finestra, balconeando la vita”.  In molte parti del mondo sembra proprio così: i giovani delle varie primavere del mondo, o del movimento verde iraniano, le stesse vittime degli abusi in Cile, non stanno lì a balconear…. E siccome Bergoglio raccomanda sempre di non perdere mai il buon umore,  una battuta del gesuita vestito di nero è parsa ricordare ai giovani e ai presenti che c’è molto di cui sentirsi inquieti oggi in queste ore qui da noi. Sentendolo mi sono detto che non pensava allo spread, agli scrocconi che saremmo secondo una rivista tedesca, o all’unione sovietica europea che si vedrebbe secondo un politicante nostrano. No, per me pensava alla crisi antropologica che sovrintende a questa crisi politica.

Il racconto di Aldo Moro che è seguito, quando il relatore della serata, Giorgio Balzoni, ex vice direttore del Tg1, ha ricordato le inquietudini del suo professore, ha dato corpo e sostanza a questa crisi antropologica. La sfida ai tempi di Moro era più grave? O i giovani allievi di Moro hanno saputo fronteggiarla meglio dei giovani d’oggi? Che il cuore del papa sia con loro è certo, che il loro cuore sappia sentirlo, capirlo, fare “baccano” come lui li esorta a fare, meno. Balzoni ha reso noto che quando fu sequestrato Moro pensava di istituzionalizzare le Br, facendone un partito politico come oggi si pensa o si propone di fare in Colombia con le Farc e in altri complessi processi di pace. Per andare avanti, uscire dai tunnel, abbattere i muri, e non “balconear la vida”.

L’inquietudine di Bergoglio è stata letta con gli occhi dei bambini africani dalla scrittrice musulmana Igiaba Scego, che ha raccontato la difficoltà e la felicità di scrivere per loro, una nuova sfida che ha affrontato ricorrendo alle figure, alle immagine della mitologia nera, come il rinoceronte. Attratta dal papa, che è pur sempre Pastor Angelicus ma inquieto (come osserva Raniero La Valle), Igiaba Scego ha aiutato a ripercorrere il cammino dell’inquietudine e dell’immaginazione africane, della vicinanza e dell’incontro. Non poteva mancare lui, Jorge Mario Bergoglio, in questa serata inquieta. E a portarlo tra i tanti riuniti alla Civiltà Cattolica è stata Vania De Luca, vaticanista con lo zainetto in spalla, per trasmettere da tanti angoli del mondo e dell’Italia l’argentino inquieto che comunica in profondità senza paroloni, ma con gesti profondi, con sguardi caldi, facendo capire a chi voglia che quell’uomo vestito di bianco non è vestito così perché candido, angelicamente lontano dalle tempeste del cuore, ma perché è un amico che ti viene incontro, ti stimola a scendere in strada, lasciando il balcone, e entrare insieme nei crocevia della storia. Questa crisi antropologica, mi sono detto lasciando Civiltà Cattolica, ci renderà superficialmente inquieti per lo spread anche domenica, chissà quanto lunedì, ma ne potremo venire a capo solo se capiremo che la sua gravità sta altrove, forse nella paura che dal nostro balcone non si vedono scorciatoie per stare bene domani, anzi oggi, e allora la paura ci domina, rendendoci rabbiosi, anche con chi sotto il nostro balcone ci chiede di scendere. E perché dovrei? Che me ne frega… Meglio lasciare il balcone e starmene a casa mia, lasciando quel vociare di strada fuori dall’uscio. Io sto con me stesso, quel vociare non mi interessa, anzi, lo detesto, forse è colpa sua se non vedo scorciatoie.

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