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La sentenza Foodora e il futuro della Gig economy

È sufficiente leggere attentamente la “premessa” della sentenza del caso “Foodora” per comprendere la necessità di un intervento legislativo in materia. In essa si legge, infatti, “la controversia ha per oggetto esclusivamente la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti… in questa sentenza non verranno quindi prese in considerazione le questioni relative all’adeguatezza del compenso o al presunto sfruttamento dei lavoratori da parte dell’azienda, né tutte le altre complesse problematiche della cosiddetta Gig Economy”.

Da queste premessa consegue in modo diretto e confessorio l’accertamento dell’inadeguatezza degli strumenti in possesso del Giudice per giudicare. La sentenza si svolge, dal punto di vista tecnico giuridico, in un luogo “senza tempo”, i principi espressi non tengono conto della storia, del progresso, dell’economia, del mercato, dell’organizzazione del lavoro, del mutare stesso del concetto di lavoro, tematiche che sono quotidianamente trattate.

Ma il Giudice fa tutto questo in modo differente dallo sterile dibattito populista, le fa dichiarandolo in “premessa” come se fosse un “grido” di aiuto. Lo svolge poi nella parte motiva della sentenza, nel corso della quale fa emergere chiaramente come i principi secolari dell’autonomia e subordinazione non riescono ad interpretare la fattispecie reale sottoposta alla sua attenzione. Ed allora la sentenza in commento diventa ictu oculi un mezzo elaborato “dottrinale” – una contraddizione in termini – pagine che possiamo trovare in tutti i manuali di diritto del lavoro con citazioni giurisprudenziali riferite allo svolgimento di attività che nulla hanno a che fare con quelle sottoposte all’esame odierno. Conclusioni? Hanno perso tutti! Ha perso chi ritiene di voler e poter applicare il contratto di lavoro subordinato oggi conosciuto; ha perso chi ritiene che questa prestazione sia “autonoma”. Ha perso la “società” (intesa, come comunità), il mercato, il sindacato.

La verità incontrovertibile è che siamo di fronte a cambiamenti talmente radicali in ordine al mondo del lavoro, dell’industria, dei servizi, del mercato, che è necessario un intervento normativo che restituisca equilibrio tra le parti. Un equilibrio nuovo.

È ovvio che se noi dovessimo pensare ai “riders” ed a quel “lavoro” come il “lavoro” che secondo la nostra Costituzione deve garantire un’esistenza libera e dignitosa, avremmo un problema. Ma il problema sarebbe enorme, poiché al di là dell’autonomia/subordinazione esso non potrebbe mai assolvere a quel compito. Non potrebbe perché l’impresa non potrebbe continuare ad esistere a quelle condizioni. Ed allora è consequenziale accertare che per queste attività occorre pensare ex novo, pensare ad un equilibrio economico e protettivo che consenta attività di impresa e occupazione. Ma occorre altresì trasparenza ed onestà: deve essere chiaro e dichiarato che determinate attività frutto di un nuovo modello e parametro economico non sono quelle che consentiranno di assolvere al dettato Costituzionale, e molto probabilmente non possono nemmeno essere ritenute reale “occupazione” per come oggi ancora la riteniamo.

Ciò che mi lascia perplesso, però, è che non vedo alcuna novità in termini di principi generali: chi da ragazzo non ha fatto il “garzone”? Chi non ha mai consegnato la spesa, i giornali, fatto o reso ripetizioni, insegnato qualche sport? Non erano lavori? Non vi era un tema di autonomia/subordinazione? Non vi era un tema di assicurazioni, previdenza? Direi proprio di sì. Senza dubbio.

Ma essendo un momento storico dove era chiaro, anche socialmente, che quelle attività non rappresentavano il “lavoro” comunemente inteso (un momento dove vi era una diversa prospettiva occupazionale), nessuno ha immaginato di organizzare manifestazioni o recriminazioni o sindacati di coloro che “offrivano ripetizioni”.

Ora il momento è arrivato, ma non per collocare il tutto ancora nel “vecchio mondo”, ma crearne di nuovi che possano fare gli interessi di tutti.

Ed ancora una volta, dove in modo colpevole non arriva il legislatore arrivano i privati, vedasi “Deliveroo”!

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