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Mattarella, la crisi infinita e l’opzione Salvini

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La giornata politica di oggi è segnata dalla Direzione del Partito Democratico di questo pomeriggio. Non vale quasi la pena di sottolineare che si tratta di un dibattito magari interessante, ma di cui è già stata decretata la premessa e la inevitabile conclusione da Matteo Renzi domenica scorsa a “Che tempo che fa”.

Dunque, è l’attualità di un appuntamento ormai totalmente inattuale.

La partita del governo, invece, è rimandata per necessità, almeno fin tanto che, fedele ad un protocollo temporale assai rigoroso, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella cercherà di costruire qualche soluzione fattibile, e, in ogni caso, imboccare una qualche strada purtroppo comunque sconnessa.

Parliamoci chiaramente: gesta geniali in cantiere non ce ne sono. Anche perché, invero, soluzioni in mano non ci sono mai state in queste lunghe giornate di crisi per nessuno. Tarantelle se ne sono ballate tante, ma senza un’oggettiva e sostanziale conciliazione concreta tra i tre poli antagonisti e contrapposti.

Insomma, niente maggioranza politica, niente soluzione per Mattarella. Punto.

Quello che resta nel mazzo di carte quirinalizio, ormai ridotto a poco, è disegnare modi e tempi per tornare alle urne, ovviamente con un calendario possibile che vada da ottobre di quest’anno alla primavera del prossimo.

Una prima possibilità è che, una volta sventolata la bandiera bianca sopra il Quirinale, Mattarella ci mandi a votare con questo Governo dimissionario in carica. Sarebbe la scelta meno scelta, vale a dire quella che decreterebbe l’opzione per un ruolo puramente notarile del capo dello Stato. Perciò si immagina che costituisca l’ultima frontiera, dopo che sono cadute tutte le altre eventuali ipotesi di tregua, comunque difficilissime da combinare.

Prima della chiusura della partita, tuttavia, si cela pure un’altra chance politica per il Colle, ossia affidare al Centrodestra un preincarico, il quale, sebbene non sia detto che venga accolto poi con tanto favore, è nondimeno reclamato da Matteo Salvini e da Silvio Berlusconi reiteratamente.

Parliamoci chiaro: andare nelle aule a prendere i voti mancanti è sempre possibile ma altamente improbabile in questa vicenda. Il rischio, poi, è che si formi un esecutivo di minoranza, dato e concesso che Mattarella trasformi il citato preincarico in un incarico vero e proprio confezionato al buio.

Quest’ultima soluzione avvantaggerebbe il Centrodestra che si troverebbe a governare debolmente fino alle elezioni prossime venture, ma non ci sono segni tangibili all’orizzonte di buona riuscita dell’operazione.

Con che forza e con quale iter ciò si possa fare, infatti, è difficile da intuire. Oltretutto gli svantaggi in termini elettorali per il Centrodestra, a prescindere dalle tanto agognate nomine, sono di trovarsi con la botte vuota e la moglie ubriaca. Fuori di metafora, di avere oneri e difficoltà senza garanzie di capitalizzazione reale dei consensi.

Certamente un punto a favore in questo percorso politico assai fragile ci sarebbe. Nessuno potrebbe dire al presidente della Repubblica che non ne ha provate tutte con imparzialità. Anche se non sempre tentare tutte le strade è trovare alla fine la migliore neanche per chi la reclama.

L’altra ipotesi che si è detto sarebbe l’incarico para istituzionale, dato, ad esempio, al presidente della Camera o, meglio ancora, al presidente del Senato. Intendo meglio quest’ultima ipotesi perché Elisabetta Casellati è un’esponente di FI, un suo incarico libererebbe una poltrona al Senato per la Lega, e l’ipotesi corrisponderebbe di più alla fotografia quantitativa dei seggi espressi dagli elettori in questa Legislatura.

Una riuscita, in ogni caso, molto debole e impervia per numeri e assetti.

Perciò Mattarella ha comunicato già che farà un altro giro di consultazioni, a partire da lunedì, con l’implorazione quasi disperata che le forze politiche diano indicazioni un tantino più chiare rispetto all’immobile incertezza che regna sovrana dal 5 marzo.

Da par suo, Salvini ha accolto l’accelerazione alle urne impetrata da Luigi Di Maio, solo nel senso però che o si fa il famigerato governo Centrodestra-5Stelle, oppure tutti a casa.

Fortunatamente il rischio commissariamento dell’Italia, ad ogni buon conto, non si è ancora fatto sentire, e non si capirebbe neanche come potrebbe, visto che neppure Bruxelles potrebbe cambiare la composizione del nostro caotico Parlamento: perciò forse converrebbe anche alla Lega non paventare inutilmente questo rischio, specialmente in una fase tanto delicata per il Paese e assolutamente cruciale per tutti noi.

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