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La gestione dei rifiuti urbani italiani nel report Green Book 2018

rifiuti impianti

Nella raccolta differenziata dei rifiuti l’Italia è divisa in due: il nord ha una media del 64% (e quasi tutte le provincie superano il 50%), mentre il Sud non raggiunge il 38%. Forte squilibrio anche per gli impianti che trattano i rifiuti, rispetto ai target europei: il settore avrebbe bisogno di investimenti per almeno 4 miliardi di euro. E ancora. Da una mappatura degli operatori, emerge una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al centro-nord e una presenza residuale al sud. Nel Mezzogiorno si ricorre in modo preponderante al trattamento in discarica (62%), mentre al nord il 69% dei rifiuti è avviato a trattamento negli impianti di recupero energetico.

Sono questi alcuni dei dati contenuti nel Green Book 2018, realizzato per Utilitalia dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti.

“Non si può non mettere in evidenza l’eterogeneità che caratterizza la situazione nazionale – ha rilevato il vice presidente di Utilitalia Filippo Brandolini – Significative differenze anche sul livello qualitativo e sui costi del servizio, con il paradosso che si registrano costi maggiori là dove la qualità e l’efficacia del servizio sono inferiori. Dipende dal livello di industrializzazione e dalla presenza o meno di aziende strutturate. Il via libero del Parlamento Europeo al pacchetto di misure sull’economia circolare, comporterà un’evoluzione nell’organizzazione delle imprese e dei servizi, ma c’è anche molta attesa dall’avvio concreto dalla regolazione sui rifiuti da parte dell’Arera, l’Autorità di regolazione energia, reti e ambiente”.

“Il Green Book scatta la fotografia del settore rifiuti proprio all’avvio della regolazione di Arera – ha rilevato il Direttore della Fondazione Utilitatis Valeria Garotta – I dati cristallizzano il mancato compimento del disegno normativo, secondo cui il ciclo integrato dei rifiuti deve essere organizzato per ambiti territoriali di dimensioni adeguate: dal permanere dell’inoperatività di alcuni enti di governo d’ambito, all’elevata frammentazione gestionale; dagli squilibri territoriali nell’assetto impiantistico, all’elevato numero di gare bandite per singoli comuni e di breve durata”.

Ancora qualche dato in dettaglio. La produzione dei rifiuti prodotti in Italia ha ripreso a crescere nel 2016, dopo alcuni anni di stabilizzazione: l’incremento è stato del 2% rispetto all’anno precedente, figlio soprattutto della ripresa economica e dei consumi. La raccolta differenziata ha superato il 52% nel 2016, anche se con le note differenze nel Paese: il nord si attesta al 64%, il centro oltre il 48% e il sud sopra il 37%.

Dall’analisi delle tariffe nel 2017, su una popolazione complessiva di oltre 18 milioni di abitanti nei comuni capoluogo, una famiglia tipo (3 persone che vivono in 100 metri quadri) ha speso mediamente 227 euro in un comune sotto i 50 mila abitanti e 334 euro in un comune con popolazione superiore ai 200 mila abitanti. Territorialmente, al nord la spesa è stata di 271 euro, al centro di 353 euro e al sud di 363 euro. I costi risultano essere più alti proprio dove la qualità del servizio è peggiore.

Nel 2016, dall’analisi dei 575 gestori individuati, il settore dell’igiene urbana ha registrato oltre 12 miliardi di fatturato, occupando oltre 90 addetti. Il 37% del fatturato è generato dal 3% di operatori con un volume d’affari superiore ai 100 milioni di euro. Il 75% delle aziende è rappresentato da monoutility legate al settore ambiente, il restante 25% da aziende munti utility. Dal punto di vista dell’assetto proprietario, il 34% delle aziende ha natura completamente privata e il 66% a partecipazione pubblica. La stima del fabbisogno nazionale di investimenti necessari per incrementare la raccolta differenziata e la costruzione di nuovi impianti viene valutata in circa 4 miliardi di euro.

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