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La strategia Eni per l’Africa e il rebus Libia. Parla Claudio Descalzi

Cresciamo noi se crescono anche loro. Questo il motto che guida la strategia di Eni per l’Africa, continente di cui l’azienda italiana è primo produttore internazionale nell’energetico e dove produce la metà del greggio totale. A spiegarlo è stato l’ad Claudio Descalzi, intervistato da Lucio Caracciolo nel corso del dibattito “scenari energetici” durante il Limes Festival a Genova. L’ad ha fatto un quadro del consumo energetico mondiale: ancora molto black e poco green. Il consumo del petrolio infatti continua a salire, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove si registra “una crescita di 1,5 milioni di barili l’anno”. Il prezzo aumenta, la media quest’anno “potrebbe attestarsi tra i 65 e i 70 dollari al barile, secondo alcuni analisti anche 80”, ma gli investimenti continuano a calare. “Nel 2013-2014 per la parte di olio e gas ammontavano a 800 miliardi, adesso siamo poco sopra i 400 miliardi” ha spiegato Descalzi. L’Europa, ha aggiunto, ha urgente bisogno di trovare nuove fonti energetiche, pena l’irrilevanza geopolitica. “L’Europa è una scatola vuota di energia, importa l’80% del gas. Solo chi ha energia può avere un futuro”.

L’Africa può essere una via d’uscita: un continente straordinariamente ricco di risorse, ma anche di contraddizioni e paradossi. L’ad ha raccontato le difficoltà per Eni di operare in un mercato come quello nordafricano e subsahariano, dove la prosperità del suolo contrasta con la realtà di un grave sottosviluppo energetico delle popolazioni locali. “Negli ultimi cinque anni Eni ha fatto grandissime scoperte in Africa. L’Africa subsahariana in particolare dispone di grandi risorse di gas e petrolio, ma anche eoliche e solari. E tuttavia l’Africa, che costituisce il 15-20% della popolazione mondiale, consuma solo il 3% dell’energia. 650 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità, usano la carbonella o il legno per scaldarsi e svolgere le attività domestiche”. Una pratica che rende insostenibili i livelli di monossido di carbonio nelle abitazioni e causa “centinaia di migliaia di morti, più di quanti ne faccia la malaria”. L’insufficienza energetica peraltro è causa primaria di disoccupazione, e di conseguenza dei movimenti migratori fra gli Stati africani e verso l’Europa.

È evidente dunque, ha ricordato Descalzi, che serve un cambio di paradigma radicale. Investire nell’economia locale dei Paesi dove si opera può essere una scommessa poco vantaggiosa sul breve periodo, ma dà i suoi frutti con gli anni. “Contrariamente ad altre societa’ noi in Africa abbiamo sviluppato la produzione di gas per il mercato domestico. Lo abbiamo deciso per fare una gara diversa, non quella di uno scattista, ma per guardare in prospettiva” ha rivendicato il n.1 di Eni a palazzo Ducale. Certo, vendendo il gas all’estero i profitti sarebbero stati ben altri, ma il guadagno è in termini di credibilità. “Perdo all’inizio ma rischio con loro. In questo modo la nostra presenza diventa piu’ sostenibile, innesca fiducia. Oggi diamo energia a 20 milioni di persone con le nostre centrali e settecentomila persone nell’africa subsahariana sono impegnate in progetti agricoli e si autosostengono. Sono cifre ancora piccole ma aiutano progetti importanti di sviluppo”.

Quanto al Nord Africa, dove Eni opera da leader con progetti mastodontici come il giacimento di gas Zohr e il campo di Nooros in Egitto, la Libia rimane l’incognita maggiore. Lì il cane a sei zampe è presente dal 1956 e presiede le attività nell’offshore mediterraneo di fronte Tripoli e nel deserto libico, oltre a importare gas dai giacimenti di Wafa e Bahr Essalam attraverso il Green Stream. “La situazione politica resta frammentata, nonostante sia in corso un tentativo di discussione, forse si riuscirà a istituire nuove elezioni e trovare un accordo fra le diverse forze in campo” ha spiegato Descalzi. Che ha poi invitato la comunità internazionale, l’Europa innanzitutto, a considerare la pace e la stabilità in Libia una propria battaglia. “Purtroppo le guerre non si combattono a casa, dove vogliamo stare tranquilli davanti alla tv, ma fuori. Tutti insieme, dimenticandoci egoismi e interessi, dobbiamo impegnarci per cercare di portare la pace”.

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