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Le commesse, Amazon e il ministro Di Maio. Riflessione sul lavoro domenicale

lavoro

Ci risiamo. Puntuale come la proposta di un condono fiscale, si torna a parlare di chiusure dei negozi, alla domenica e nei festivi. Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, non ha lasciato spazio alle interpretazioni, quando a domanda diretta sull’intenzione di rivedere il decreto Monti sulle aperture festive, ha risposto: “Certo”.

Più che sufficiente per scatenare la ola di sindacati e Confcommercio, da sempre contrari alla liberalizzazione delle aperture (per loro invariabilmente ‘selvaggia’) e far scattare tutti gli allarmi nella Grande Distribuzione. Vedremo come procederà il dibattito e se Di Maio deciderà di cavalcare la tigre, inserendo novità già nell’atteso Decreto Dignità, o se si darà tempi più lunghi.

Comunque vada, resta il problema di fondo: in Italia, pare che solo le commesse abbiano famiglia. Tutti i nemici delle liberalizzazioni commerciali sventolano il vessillo di questi presunti, nuovi schiavi, per sottolineare la deriva inumana del lavoro, nel nostro Paese. Povere mamme e poveri papà strappati ai loro affetti, alla sacralità del desco domenicale.

Un’immagine anni ’50 dell’Italia, del lavoro e delle famiglie, utile solo a mascherare il vero obiettivo: le liberalizzazioni e la stessa Grande Distribuzione, eletta a simbolo di una società corrotta dal profitto. Non serve neppure fare il lunghissimo elenco delle categorie impegnate regolarmente al lavoro nei festivi, oltre gli ambiti ‘scontati’ della sanità e della sicurezza. Questa ciclica crociata è un tic, un riflesso condizionato di un pezzo consistente di Paese, che vorrebbe riproporre perennemente se stesso. Con le sue regole e le sue abitudini. Immutabile e sclerotizzato, mentre tutto evolve a velocità spaventosa. Noi riprendiamo a parlare dell’interesse di una sola, specifica categoria – fateci caso, è accaduto con i rider, ora tocca ai commessi – senza capire che rischiamo semplicemente di condannare all’irrilevanza tutte queste persone.

Nessuno riporterà gli italiani alle domeniche che furono, peraltro noiose mica da ridere, prima che la tv commerciale arrivasse a sconvolgere linguaggi e abitudini. Anche allora, si sprecarono gli anatemi, ma nulla poté cambiare l’evoluzione del gusto e anche la frenesia da shopping, che ne seguì. Oggi, potremmo anche vietare la spesa domenicale, ma riusciremmo solo a spingere sempre più consumatori verso i negozi online, mettendo inesorabilmente fuori mercato migliaia di commercianti. È l’effetto tipico delle battaglie di retroguardia, raccogli un po’ di consenso oggi, mentre il futuro ti passa sotto il naso.

Abbiamo bisogno di affrontare la realtà, facendoci carico delle tensioni, talvolta spaventose, derivate dall’esplosione del digitale e della Gig economy. Non possiamo andare a trattare – perché lo dovremo fare – con i giganti del web, portandoci dietro il novecento. Ci serve una visione non preconcetta del lavoro di oggi e soprattutto di domani.

Non ci serve un altro giro di talk sulla domenica delle commesse, a meno che qualcuno abbia il coraggio di dir loro anche le scomode verità. Per esempio, che continuando a promettere un mondo ormai dissolto, le stanno semplicemente prendendo in giro e sostituendo con Amazon.

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